E’ possibile scrivere un articolo su una partita di calcio che il cronista sportivo non ha visto? A farlo fu Italo Calvino. Il futuro scrittore, redattore de L’Unità, edizione piemontese, nel 1948 fu incaricato di seguire l’incontro di calcio Italia-Inghilterra, il primo vero match dopo la Liberazione. Nel 1941, appena diciottenne, Italo Calvino pubblicò un breve racconto, Il treno degli illusi, narra di una giovane ragazza bionda che per lavoro ogni giorno prende il treno con altri pendolari e si diverte a sondare i viaggiatori dello scompartimento su una futura professione cui aspirerebbero. Il protagonista del racconto finisce per diventare un ragazzo di 18 anni, l’alter ego di Calvino, il quale confida alla bionda signorina che vorrebbe diventare un campione di ciclismo o affermarsi nella letteratura. Calvino si cimentò in più occasioni nella cronaca sportiva, quando lavorava al giornale fondato da Antonio Gramsci, dalle colonne de L’Unità polemizzò fortemente con il Vaticano sul tentativo di appropriarsi delle imprese ciclistiche di Bartali, che non vi sia una netta separazione tra religione e sport, vista la lunga tradizione degli oratori, possiamo anche capirla, scriveva Calvino, ma rimarchiamo quella tra ciclismo e Vaticano. Il vento della guerra fredda e della contrapposizione tra cattolici e comunisti soffiava forte anche tra i raggi delle bici dei campioni. Per tornare a quella domenica pomeriggio di marzo del ’48, Italo Calvino per quanto inviato dalla redazione a seguire Italia-Inghilterra, non varcò i cancelli dello stadio Comunale di Torino. Fu attratto da tutto quanto succedeva intorno allo stadio, il brulicare dei tifosi, le bancarelle, i bagarini attivi fin da allora, una delle poche cose che resiste al calcio globalizzato: “Io la partita l’ho vista di fuori. Certo anch’io avrei potuto comprare un biglietto all’ultimo momento, quando gli sfortunati bagarini facevano di tutto per dar via all’ultimo momento le loro rimanenze, ma ho preferito gustarmi l’atmosfera di festa per le strade, assaporare questa domenica di festa tanto diversa dalle altre”. Una festa insolita per Torino, assorbita dall’allegria dei tifosi, per l’occasione paragonati ai signori ben vestiti che escono dalla messa della domenica dalla chiesa di San Carlo. I tifosi provenienti da tutta l’Italia, già dal sabato sera riversi tra i tavolini dei bar fino a notte fonda, quando gli strilloni annunciavano i titoli dei quotidiani che man mano uscivano, secondo Calvino rendevano Torino una metropoli, anche se per un giorno, ponevano la città piemontese fuori dalla sua atmosfera settecentesca, quell’allegria allentava il grigiore dei grandi viali e dei selciati. Lo scrittore entra nel vivo della partita, quella che vede fuori dallo stadio: “Su tutte le vie correva la voce di Carosio, anche quelli che facevano gli indifferenti finivano per fermarsi ai crocchi ad ogni bar. “E’ in rete! E’ entrata! Ha segnato!”. Macchè quell’arbitro, lo maledicemmo anche noi di fuori stringendo i pugni. Certo la sera fu triste vedere partire le auto, i pullman, e sentire tutti quei commenti, quelle recriminazioni. Dopo un’ora dalla fine della partita, sapevo già tanto che ero anch’io in mezzo agli altri: “Ma Mazzola…ma Eliani”.

Nella pagina in cui Calvino pubblicò il suo articolo intitolato Una partita che non ho visto, lo storico Paolo Spriano faceva una disamina dei cannoni puntati contro gli operai tra il 1898 e il 1948 da Bava Beccaris a Scelba. Quella partita finì 1 a 0 a favore degli inglesi, un altro cronista sportivo dell’Unità, che a differenza di Calvino andò allo stadio, scrisse che durante la telecronaca Niccolò Carosio falsò non poco la cronaca della partita. A spiegare il perché della nostra sconfitta un articolo in taglio basso dal titolo inequivocabile Abbasso il divismo, che attribuisce i motivi della nostra débâcle alla mancanza di serietà dei calciatori italiani, accusati di lasciarsi andare alla bella vita notturna in compagnia di ragazze, mentre per lo stile di vita degli inglesi è tutto un elogio: “Serietà, serietà ci pareva di veder scritto sulle maglie dei calciatori inglesi, sulle giacche dei loro tecnici e dei loro dirigenti… la serietà è l’unico grande segreto della superiorità inglese, è il segreto di tutti i successi da quello dell’Inghilterra a quello della Dynamo ( la squadra di Mosca, ndr) a quello degli sciatori nordici, a quello di Binda e Bartali. I giocatori inglesi alle sei del mattino se ne vanno al campo di allenamento vi tornano il pomeriggio. Alla sera quando i nostri si fanno notare nelle sale da ballo e nei tabarini per le sgargianti giacche sportive, per i calzettoni multicolori e per le donnette eleganti che hanno in compagnia, se ne vanno a letto, non bevono e fumano poco”. Nessuno si salva degli azzurri, qualche parola di elogio per Valentino Mazzola, l’unico in grado di colpire di testa dall’alto in basso, secondo il cronista dell’Unità, un’abilità che tutti i calciatori inglesi erano in grado di eseguire insieme a quella di calciare la palla in corsa senza guardarla “come un buon dattilografo che scrive senza chinare la testa”. Non sappiamo cosa scriverebbe oggi Italo Calvino sugli azzurri e se oggi pomeriggio, in occasione dell’incontro Italia-Azerbaigian valevole per gli Europei 2016, varcherebbe i cancelli dell’Olimpia stadio di Baku o si fermerebbe incuriosito a osservare i tifosi per le strade.