Ieri abbiamo lasciato l’Europa e ci troviamo ora in Cappadocia per una tappa tecnica sulla lunga strada che ci porterà al prossimo incontro, a Teheran tra una settimana circa.

Si chiude il primo capitolo di questo viaggio, quello Europeo e politico, quello in cui Santino ci ha accompagnati aprendoci le porte di parlamenti, sedi di partito, associazioni, case e insediamenti Rom. Lo abbiamo lasciato ieri mattina davanti al nuovo aereoporto di Istanbul, con le mappe dei gps e di google impazzite, che le strade per andarci, sono tutte nuove.

Siamo passati, sempre più o meno con il ritmo di una città al giorno, da Sofia per incontrare Lili Kovatcheva, poi da Skopje per Zoran Dimov, a Xanthi -sulla costa greca- per Sabiha Suleiman e infine, ad Istanbul, per Sinan Caraca.

Zoran Dimov è l’ultimo politico di professione della serie – una foto lo ritrae in questa selezione di immagini. Gli altri sono tutti attivisti, persone il cui ruolo è quello di stare fisicamente a fianco delle loro comunità di appartenenza.

L’itinerario del progetto Romanistan

L’incontro con due figure femminili è stato centrale. Lili Kovatcheva, in particolare, tra tutte le persone incontrate, dà la netta sensazione di essere quella la cui visione e rete relazionale abbraccia con più ampiezza la dimensione geopolitica della questione Rom. Dagli anni Ottanta insegna nel suo villaggio natale nella più vecchia scuola pubblica di un insediamento Rom di Bulgaria. Nel ’99 decide di trasferirsi in India, a Nuova Delhi, dove, a contatto con attiviste indiane, si rende conto dello stato di doppia discriminazione subita dalle donne Rom. Ritorna in Europa e dà vita assieme ad altre allo Romani Woman can do it.

Oltre a questo, Lili ci dà una conferma definitiva e non romanzata della discendenza dei Rom dalla nazione indiana: parlando Rom, nei villaggi indiani, riesce a farsi capire. Ci racconta che Indira Ghandi, un’altra donna guarda caso, nel 1978, promulga un atto che riconosce a queste persone l’attributo di “indiani di oltre oceano”. Sembra una strana metafora, visto che nessun oceano separa fisicamente questi “indiani” dalla loro terra di provenienza. Forse si tratta da quell’enorme territorio occupato da un Islam a forte dominanza maschile? Questo lo verificheremo a Teheran e nel tragitto che ci separa da New Delhi. Santino nel frattempo continua imperterrito a comunicare con Bulgari, Greci e Turchi nel suo idioma Rom/Italic.

Ora dovremo attraversare questo Oceano senza Santino. Recuperemo suo figlio, Gannaro, all’aereoporto di Yerevan, in Armenia. La lingua riprenderà da lì ad intessere la sua rete di narrazioni. Nel frattempo, in questo “silenzio radio”, cercheremo di mettere a posto le idee: sul lungo conflitto tra Gagè, sulla impossibile alternativa tra emarginazione o assimilazione, sul decadimento della classe politica e sull’interrogativo se il futuro ci vedrà governati dalle A.I. o da un nuovo pensiero femminile.

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Romanistan di Luca Vitone è un progetto promosso dal Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, vincitore della IV edizione del bando Italian Council (2018), concorso ideato dalla Direzione generale arte e architettura contemporanee e periferie urbane (Dgaap) del Ministero per i beni e le attività culturali, per promuovere l’arte contemporanea italiana nel mondo. In collaborazione con «Il manifesto», sul nostro sito, uscirà ogni settimana un breve diario di viaggio che segnerà le tappe del percorso dell’artista con il suo gruppo. Le tappe saranno narrate su www.ilmanifesto.it ogni venerdì a partire dal 31 maggio, per finire il racconto di parole e immagini il 5 luglio ( sei puntate). Sul sito di Luca Vitone sarà possibile vedere le coordinate geografiche in cui si troverà ogni tot minuti. www.lucavitone.eu