Vogliamo costruire una politica che parta dal nostro desiderio di cambiamento come uomini. Nel 2006 alcuni di noi, in un testo-appello, hanno affermato che la violenza contro le donne, oltre ad essere una tragedia quotidiana, è un fenomeno che interroga soprattutto gli uomini, visto che da uomini viene compiuta. Centinaia di altri uomini hanno aderito all’appello e si sono detti d’accordo sulla necessità di cominciare a farsi realmente carico del problema.

Qualcosa è cambiato? E’ il momento di tentare un altro passo? Crediamo di sì. Il rifiuto sempre più diffuso della violenza è uno dei molti segnali della rivoluzione femminile che da decenni sta trasformando il mondo. Oggi, in Italia, anche i media, il parlamento e il governo intervengono, ma prevale ancora una volta la logica della repressione e dell’emergenza, che continua a considerare le donne come soggetti deboli e bisognosi di tutela.

In questi anni, sul tema della violenza, abbiamo partecipato a molti incontri, iniziative e riflessioni, sia tra uomini che in numerose esperienze comuni con donne. Abbiamo imparato a lavorare su noi stessi e questo ci ha permesso anche di confrontarci con altri uomini, talvolta anche con autori di violenze. Abbiamo dunque capito che per lasciarsi la violenza alle spalle occorre andare oltre. Oltre la riduzione di questo dramma a rassicurante eccezione patologica e criminale. Oltre l’idea di una originaria oscura “natura maschile”, da disciplinare e contenere. E vedere invece il legame tra la violenza quotidiana e una cultura radicata che spaccia per “naturale” il dominio del soggetto maschile, presentato come neutro e universale, sul resto dell’umanità, cioè donne, omosessuali, appartenenti a presunte “razze” inferiori, devianti sociali. Una cultura che da secoli garantisce a chi nasce maschio innumerevoli vantaggi e privilegi a patto che si rinchiuda in ruoli, attribuzioni e aspettative rigidamente e perfino violentemente predefinite.

Noi sentiamo che questi vantaggi e privilegi (ormai svelati e messi in discussione ma anche capaci di reinventarsi) sono in realtà delle gabbie che imprigionano i nostri desideri e sentimenti più profondi, creando insoddisfazione e sofferenza. Una sofferenza inflitta e autoinflitta che occorre riconoscere e sciogliere. Non vogliamo proporre un’analisi astratta e impersonale del cambiamento della relazione tra i sessi, bensì parlare dei nostri desideri e sentimenti; delle nostre fragilità e contraddizioni; del nostro desiderio di libertà e di una diversa qualità delle relazioni nella vita.

Oggi finalmente vediamo crescere il numero di uomini che condividono questi sentimenti e desideri, sicuramente più di quanto non emerga dal discorso pubblico e mediatico prevalente. La scommessa è che nuove parole maschili possano raccontare questa trasformazione già in atto come un fatto collettivo, visibile, coinvolgente anche per altri uomini. Questo desiderio di cambiamento lo riconosciamo nei giovani padri che scelgono di aver cura dei propri figli, prendendosi il tempo, in una relazione di scambio, per quanto difficile e talvolta conflittuale, con le loro compagne. Così come lo riconosciamo in chi rigetta le logiche gerarchiche nei luoghi di lavoro e vorrebbe superare dinamiche competitive assurde, che contrastano con il senso delle nostre vite e rimuovono il significato di che cosa e per chi si produce, si insegna, si offre un servizio al pubblico. Nel nostro percorso abbiamo incontrato nuovi modi di intendere la politica, di stare dentro i movimenti o nelle associazioni; e abbiamo percepito l’insofferenza crescente verso le forme tradizionali del potere maschile.

E se allarghiamo lo sguardo al mondo, vediamo un potere politico ed economico ingiusto e aggressivo, sempre sull’orlo di una nuova guerra. La ricerca di una politica partecipata, centrata sul confronto tra persone e fondata sull’ascolto delle nostre esistenze nella loro concretezza e complessità, può forse dare forma a una cultura che non militarizzi i conflitti e non cancelli le differenze. Sempre più donne e uomini, inoltre, mettono in discussione il mito della crescita quantitativa e illimitata, nonché la distruttività di un’economia fondata sull’accumulazione e sul consumismo.

Sono tutte esperienze feconde e promettenti, e noi vorremmo esplicitare sempre di più la connessione fra queste istanze e la sfida di costruire insieme una nuova civiltà tra uomini e donne, in cui le relazioni siano in grado di generare autorevolezza e libertà. Viviamo nel tempo in cui le donne affermano sempre di più e ovunque la propria libertà. E’ un mutamento radicale, profondo, che cambia le vite di tutti. Per gli uomini non è facile riconoscerlo e accettarlo pienamente, forse perché può causare disagio, paura e rancore. Ricevere dei “no” o essere lasciati, per esempio, è per molti uomini ancora un’esperienza insostenibile, che può determinare il ricorso alla violenza: contro le compagne o ex-compagne, ma anche contro figli e figlie, a volte anche contro se stessi. Noi conosciamo, almeno in parte, le dinamiche di questo disagio e di questa disperazione. E pensiamo che sia possibile reagire, mettendo in gioco un desiderio costruttivo, nel riconoscimento della differenza tra uomini e donne.

L’originaria angoscia maschile, legata anche al fatto di avere un corpo che non può generare, è stata fonte di insicurezza e paura, e ha prodotto ansie di controllo del corpo altrui. Tracce di quell’angoscia le ritroviamo nella sessualità, pensata e vissuta, nella cultura del dominio maschile, come strumento di controllo delle donne e di negazione dei diversi orientamenti sessuali. Questo ha schiacciato la nostra sessualità nell’ansia della prestazione, della verifica di una virilità associata al dominio, e ha ristretto la nostra socialità nella percezione del corpo maschile come minaccia, oltre che nell’ansia omofoba. Incontrare la libertà e l’autonomia femminile ci mette di fronte al nostro limite. Questa esperienza, invece di essere motivo di frustrazione, può dare inizio alla ricerca di una relazione libera, di uno scambio sessuale e affettivo nella differenza. Si tratta di seguire un’altra idea di felicità, liberando la nostra capacità di cura e il piacere dell’incontro, mettendoci in gioco fino in fondo nella relazione con l’altro/a.

*Per la versione integrale del testo, www.maschileplurale.it