Nel quarantennale del caso Moro, tra tante pubblicazioni, nuove edizioni accresciute di libri già usciti, contributi di vario genere, ricostruzioni video, c’è qualcuno che ha deciso di affrontare l’argomento in maniera differente e quanto meno sorprendente. Si tratta di Alessandro Bongiorni, autore milanese di noir poco più che trentenne, il quale ha utilizzato la storia dei cinquantacinque giorni come materiale per un nuovo romanzo, appunto noir. Il libro si chiama Strani eroi ed è stato pubblicato da Frassinelli (pp. 400, euro 18,90).
Bongiorni questa volta abbandona il suo personaggio preferito, il vice commissario Carrera, e focalizza la propria attenzione su quei tre strani eroi richiamati nel titolo.

SI TRATTA DI UN COLONNELLO dei carabinieri, Antonio Ruiu, tosto, cattivo ed estremamente efficiente, legato al potere democristiano e in particolare a Cossiga. Di una sorta di femme fatale, Cinzia, protetta di un potente faccendiere che vive in una villa in Toscana e che la usa per ottenere ulteriori informazioni riservate, atte ad accrescere il suo potere e la sua influenza sulla vita politica e sociale del paese. Infine, c’è Carlo Peres, giornalista prima all’Unità di Milano, poi con O.P. di Mino Pecorelli a Roma. È soprannominato il bastardo perché non si ferma davanti a niente ed è capace di usare ogni mezzo per raggiungere la verità, soprattutto quando, grazie al suo fiuto, sente che quella che gli viene presentata è soltanto una verità di comodo.

FIN DALL’INIZIO la vicenda si muove su un doppio binario. Da una parte ci sono gli eventi del rapimento di Aldo Moro, che vedono coinvolti Ruiu e Cinzia, dall’altra, a Milano, l’omicidio alquanto misterioso di due ragazzi, Fausto Tinelli e Lorenzo «Iaio» Iannucci, su cui inadaga Peres insieme a Mauro Brutti, giornalista realmente esistito del quotidiano del Pci, che morirà in un oscuro incidente automobilstico. Il legame che connette i due eventi è il fatto che Fausto abitava a via Monte Nevoso 9 e la sua camera distava solo sette metri dall’appartamento al civico 8 della stessa strada dove, come si scoprirà in seguito, c’era un covo delle Brigate rosse. Non un covo qualsiasi, dato che lì per ben due volte, nel 1978 e nel 1990, fu ritrovato il cosiddetto Memoriale Moro, la prima volta nella sua versione breve, la seconda nella versione con oltre cinquanta pagine in più.
I tre strani eroi seguiranno il proprio percorso e il proprio destino fino a giungere allo snodo fondamentale ovvero scegliere se «morire da uomo libero o vivere da persona intelligente».

MISCELANDO EVENTI realmente accaduti con altri inventati, personaggi reali e altri di fantasia, Bongiorni porta avanti la narrazione della vicenda, riuscendo a mantenere sempre a livelli alti la suspence e, di conseguenza, la curiosità del lettore.
Fatto ancor più sorprendente perché l’evento di cui tratta il romanzo non è solo noto a tutti, ma in questi anni è stato sviscerato dai più differenti punti di vista. Eppure Bongiorni grazie alla prospettiva scelta, a una scrittura agile e tagliente, alla costruzione di personaggi assolutamente riusciti, anche quando sembrano rispondere ai cliché più triti del genere, riesce a costruire davvero un ottimo noir. Insomma, sembra evidente che il giovane scrittore milanese sia riuscito ad assorbire e rielaborare in maniera originale la lezione di iniziatori quali James Ellroy o, per restare in Italia, Simone Sarasso.

COME APPARE anche nella nota dell’autore, posta all’inizio del libro, in cui sembra emergere la concezione della letteratura di genere secondo Bongiorni: «Raccontare un’invenzione, dunque. Non spiegare, non svelare, non giudicare. Questo è un romanzo in cui si narra di fatti realmente accaduti, di altri che non sono accaduti e di altri ancora che sarebbero potuti accadere; in cui si incontrano persone che c’erano, persone che non c’erano e persone che avrebbero potuto esserci. E non c’è niente di reale. Ma, com’è noto, il fatto che una cosa non sia reale, non significa che non sia vera».