È come il chiodo che unisce due assi Al Massimo Ribasso, il film di Riccardo Iacopino presentato oggi al Festival del Cinema della cooperazione sociale, tra gli eventi della XXIV edizione dell’Isola del Cinema. L’iniziativa abita l’isola Tiberina con la programmazione di eventi-tassello tra le diverse arti che confluiscono nel cinema, proprio come i rami di un fiume che questo scoglio nel Tevere fende: i diversi percorsi esplorati si uniscono con il proprio corredo di visioni ed esperienze. E in questa isola irrompe un festival che mette sotto i riflettori il mondo della cooperazione, cui una società sbranata dal neoliberismo affida sempre più spesso l’ultimo scampolo di un pensiero sulla interconnessione tra le persone, tra le persone e l’ambiente, tra le persone e il mondo come dovrebbe essere.

In questo senso Al Massimo Ribasso, prodotto con meno di 200 mila euro proprio da una cooperativa, l’Arcobaleno, e dai Rai Cinema in collaborazione con la Film Commission Piemonte, è il chiodo in grado di unire l’asse sociale con quello individuale, per mostrare come essi vivono di continue e reciproche influenze, fino a spingersi a sussurrare che non è possibile una felicità che non sia una felicità collettiva. Al Massimo Ribasso è il sistema previsto dal codice degli appalti per individuare il vincitore dei bandi indetti per l’assegnazione di lavori e servizi. Il criterio è puramente economico, non considera se per arrivare a cifre bassissime, che nell’ambiguo lessico economico si chiamano «competitive», c’è stato bisogno di licenziare, di barare sulle norme di sicurezza sul lavoro o di usare forniture scadenti.

Il film è un reportage esistenziale su quello che succede quando l’economia diventa il criterio regolatore del mondo: i fallimenti delle piccole e medie imprese impossibilitate a gareggiare con le grandi corporation che, forti dei vantaggi derivanti dalla famosa economia di scala (fornire di più significa fornire a minor prezzo), invadono il mercato portandosi dietro precarizzazione, risparmio sui materiali e, in definitiva, il ribasso sulla qualità delle vite. Diego, il protagonista, ruolo giocato da un bravissimo Matteo Carlomagno, è l’anima che si muove tra questi due piani.

Rifiuta la legge del più forte, che è il nome meno sofisticato con cui si può chiamare il liberismo. Ex poliziotto, vive nella rassegnazione allo stato delle cose, in quel cinismo mainstream che convince di avere come unica alternativa l’ingenuità. Da investigatore fornisce a multinazionali conniventi con malaffare e malapolitica le cifre esatte presentate dai concorrenti alle gare d’appalto. La capacità di intercettare i pensieri degli altri, nel film raccontata come un superpotere (e forse è vera questa nominazione in un mondo in cui la sensibilità assomiglia a una debolezza), è il segreto che gli permette di dare alle grandi corporation le cifre esatte in grado di farle vincere sempre nelle pubbliche gare di appalto.

E’ solo per amore, che irrompe nel volto di una ragazza desiderata, nell’amicizia con un operaio morto di lavoro o nella tenerezza per l’incontro con un mondo marginale, che alla fine Diego si sottrae alla legge del più forte. Film amaro ma coraggioso nei tempi in cui il problema del cinema sembra essere la crisi di coppia: qui davvero si parla di amore perché è il sentimento della philia il granello che inceppa la macchina.