La cantavamo nelle manifestazioni durante i fantastici ’70. Un po’ retorica, va bene, piuttosto lugubre, d’accordo, ma per noi era una canzone di lotta. Chi si sognava di ritrovare Per i morti di Reggio Emilia in un disco di jazz? Di quelli raffinati e non-genere, per giunta. Invece ecco un piccolo capolavoro elaborato dalla coppia d’oro Giovanni Guidi-Gianluca Petrella su quelle note di Fausto Amodei, non sulle parole ovviamente. Il pianista e il trombonista con l’aggiunta in 6 brani su 14 del super-ospite Louis Sclavis ai clarinetti e con la collaborazione lussuosa/discreta del batterista Gerald Cleaver. È questo il cast dell’ottimo album Ida Lupino (Ecm/Ducale).

Se vogliamo, la canzone di Amodei è anche un po’ reticente quando dice che i comunisti di Reggio Emilia erano stati uccisi «per mano dei fascisti» mentre la mano, anzi il mitra, era della polizia. Ma il grande sommovimento del luglio ’60 era contro il ritorno dei fascisti al governo, quindi si può sorvolare. Guidi e Petrella rimettono in circolo ricordi, rabbia, impegno e trasformano la canzone in un magnifico pezzo di «pura» musica d’oggi.

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Petrella vi crea un clima espressionista tragico con note tenute rauche vicine al rumore. Poi offre variazioni tematiche di arditezza e maestria commoventi. Ma commovente è la sapienza di Guidi nell’esporre il motivo: il pianista è ispiratissimo nelle pause e nei «ritardi» oltre che nella misura del suono. Siamo al livello del Bill Evans che si ascolta nel davisiano Kind of Blue.

Questo è un album evocativo, ricco di atmosfere malinconiche e di sonorità morbide. Ma splendidamente ricercato. I brani apertamente «politici», per l’argomento, sono tre: Per i morti di Reggio Emilia, Jeronimo, Fidel Slow. Anche i «requiem» sono tre: oltre al pezzo di Amodei e quello in ricordo di Fidel c’è Gato!, in ricordo del saxista gaucho Barbieri. Che l’ideazione e la regia siano di Guidi e Petrella non c’è dubbio. L’ospite Sclavis è perfetto in Ida Lupino, il celebre brano di Carla Bley che qui è title track. Ma è molto trattenuto e mette una zampata delle sue, di estroso improvvisatore, in Rouge Lust, tempo lentissimo, venature liriche, opera sperimentale.

Il più compiutamente «avant» dei brani si chiama Hard Walk. Niente scorribande free, piuttosto dialoghi di suoni distillati piano-trombone, echi impressionisti e l’apporto delle sparse accentazioni percussionistiche di Cleaver.