Due elementi sopra tutti gli altri sembrano caratterizzare l’ultimo audace romanzo di Fabio Deotto, Un attimo prima (Einaudi, pp. 452, euro 19,50): Milano e l’uomo inteso come maschio accentratore di fatti e azioni. Per certi versi l’impressione iniziale che le pagine dense di Deotto comunicano è quella di un’esplorazione, a tratti di un’indagine nel limite, nell’estremità del Novecento italiano: in quegli anni Novanta vissuti all’interno di una crisi conclamata vergata da una depressione orizzontale e continua. Un sottofondo che sarebbe poi esploso negli anni dieci del Duemila.

L’AUTORE parte da quel tempo con l’uso di una lingua piana, precisa e informata, una lingua che si nasconde e lascia scaturire elementi come fossero slegati gli uni dagli altri. Deotto adotta una strada originale rifiutando la letteratura in favore di una narrazione puntuale e al tempo stesso inseguendo però l’ambizione letteraria da una porta che raramente viene socchiusa dagli autori della sua generazione.
In sostanza un recupero delle origini generazionali, un’accettazione dei limiti stessi di quell’impronta divengono per l’autore l’elemento con cui dare vita al racconto di un ricordo. Il ricordo del futuro come un tempo era stato possibile immaginarlo. Non si tratta nemmeno di una distopia, parola usata spesso fuori luogo, ma di un intervento chirurgico di mutazione della memoria che diviene essa stessa parte integrante di un futuro inevitabile quanto nelle sue contraddizioni accettabile.

L’ACCETTAZIONE del futuro trasforma così ogni scelta in un ricordo, ogni luogo in una sensazione soggettiva, ma pur sempre riciclabile. Fabio Deotto mette così insieme una tavolozza in cui l’informazione colta dello stato dell’arte sociale diviene già di per sé narrazione e lo fa aggregando elementi tipici di un minimalismo provinciale che resta la parte migliore della narrativa italiana degli ultimi anni. Un attimo prima sembra così prendere forma in assenza di protagonisti che paiono capitare sulla pagina senza che il narratore si espliciti, ma rendendolo tale proprio con la loro spontanea assenza di forma.

SONO PERSONAGGI certamente non stereotipati, bensì stilizzati all’interno di una cornice tanto precisa quanto disinteressata a definirne le contraddizioni. Il futuro infatti, in quanto dato, invita ad un’unica soluzione: all’accettazione aprioristica di un contesto dentro al quale gli unici movimenti sono permessi alle sensazioni che perdono tuttavia il dominio di un corpo per attraversare le strade, le case e le stanze dei personaggi come pensieri esterni, come un tempo che in ogni caso è presente e dunque irrimediabilmente perso.

Un attimo prima è così un romanzo audace perché mescola abilmente quelli che si possono definire gli elementi del disastro, ma al tempo stesso non negando un’origine culturale precisa, un gesto letterario narrativo (e geografico) fortemente definito, azzarda insomma una poetica chiaramente autoriale che rifugge dalle banali modalità di genere per porsi in maniera autonoma e originale. Una scrittura efficace che a tratti si perde riducendo il quadro in favore di una cornice spesso troppo insistente, Un attimo prima non è però un’occasione persa, ma anzi si pone come un’opera godibile e mai banale di un’autore tra i più acuti e stimolanti oggi in Italia.