Furono in molti a sentire le urla, quel 7 agosto 1964, nelle sale e del Quirinale. Il capo dello Stato, Antonio Segni, era a colloquio con Aldo Moro e Giuseppe Saragat, allora segretario del Partito social-democratico, e non si trattava di una chiacchiera tra amici. Il tempestoso confronto si interruppe nella maniera più tragica, quando il quarto presidente della repubblica italiana stramazzò colpito da trombosi cerebrale.

Per anni l’argomento del fatale confronto fu circondato dal segreto. Oggi è certo che si trattasse del colpo di Stato progettato dal presidente in combutta con il comandante dei carabinieri ed ex capo del Sifar, il servizio segreto, Giovanni De Lorenzo. Quasi certamente i due leader politici minacciarono il presidente di procedere contro di lui per attentato alla Costituzione, uno dei soli due casi per cui, a norma di Costituzione, il capo dello Stato può essere messo in stato d’accusa (l’altro è l’alto tradimento).

A tutt’oggi non è accertato se Antonio Segni mirasse davvero al golpe o intendesse solo far tintinnare le sciabole per condizionare pesantemente il corso della politica italiana, come in effetti si verificò. Nell’uno come nell’altro caso, comunque, la procedura detta oggi “di impeachment” ci sarebbe stata tutta. Non ce ne fu bisogno. Segni non si riprese mai dal colpo. Mantenne formalmente la presidenza sino al 6 dicembre, poi si dimise e al suo posto arrivò Saragat.

In quella giornata di agosto risuonò per la prima volta la minaccia di messa sotto accusa di un presidente. Non sarebbe stata l’ultima. Su 11 presidenti l’impeachment è stato adombrato o effettivamente richiesto cinque volte. Una belle media.

Dopo Segni fu il turno di Giovanni Leone, arrivato sul Colle nel dicembre 1971. Oggi gli storici danno un giudizio sostanzialmente positivo sul suo mandato, soprattutto per la notevole indipendenza dal condizionamento dei partiti e in particolare del suo, la Dc, che proprio per questo lo tollerava a stento. Negli anni ’70 fu invece oggetto di una durissima campagna stampa, in parte basata sui pettegolezzi riguardanti le abitudini licenziose della consorte, in parte più sostanziosa centrata sul sospetto che fosse lui “Antelope Cobbler”, il misterioso politico italiano che aveva intascato sostanziose mazzette dalla Lockheed per spingere l’acquisto di aerei da guerra.

Alla fine il Pci arrivò a presentare formale richiesta di dimissioni, per la prima volta nella storia repubblicana. La Dc, che lo detestava, avallò senza reagire. Il 15 giugno 1978, sei mesi e 15 giorni prima della scadenza del suo mandato, Leone si dimise. Era innocente. I soli a porgergli le dovute scuse sono stati i radicali, all’epoca tra i più duri nella campagna contro di lui. Gli ex comunisti e gli ex dc hanno preferito calare un velo pietoso sul fattaccio. Chi ha dato ha dato ha dato…

Eletto primo cittadino nel 1985, Francesco Cossiga si distinse per cinque anni solo per il basso profilo e il burocratico conformismo. Un giorno, nel 1990, disse che aveva voglia di togliersi “qualche sassolino dalla scarpa” e non si fermò più. Diventò il picconatore. Rivelò una per una tutte le ipocrisie della Prima Repubblica. Si schierò a difesa della struttura clandestina Gladio. Arrivò al braccio di ferro con la magistratura sino minacciare l’invio dei carabinieri al Csm. Nel dicembre 1991 tutta l’opposizione di sinistra chiese formalmente la sua messa in stato di accusa. Cossiga si dimise quattro mesi dopo, a due mesi dalla scadenza del mandato. La Repubblica picconata era già in macerie.

Nel Pci Giorgio Napolitano votò contro la messa sotto accusa, come il Colle si è premurato nei giorni scorsi di ricordare, rendendo nota una lettera di Cossiga all’attuale presidente. Per la verità, Napolitano riteneva anche lui che il picconatore dovesse sloggiare dal Quirinale, però era convinto che si potesse raggiungere l’obiettivo per vie meno fragorose e più efficaci.

Per Oscar Scalfaro, presidente dal maggio 1992, non è mai stata avanzata richiesta di impeachment, anche se la destra berlusconiana lo ha minacciato spesso. Però non ha mai osato. Il caso Napolitano è storia di oggi. Ognuno può valutare da solo se l’inquilino del Quirinale stia comportando come un presidente della Repubblica o come un illegittimo sovrano.