Lo scorso settembre il New Yorker dedicava un articolo al tema dell’intelligenza artificiale in agricoltura. Analizzando la situazione degli Stati Uniti, il reportage partiva dalla premessa che le continue strette sull’immigrazione mettono in difficoltà gli agricoltori che non trovano manodopera da impiegare nella raccolta di frutta e verdura (un problema anche in Europa). La risposta? A raccogliere saranno i robot. Milioni di dollari di investimenti e tutte le più grandi università del mondo impegnate in una corsa all’invenzione di robot sempre più sofisticati e capaci di automatizzare processi produttivi finora considerati manuali come la raccolta di fragole, di mele, di arance o della verdura in foglie. Utilizzando intelligenza artificiale, robotica, big data e droni è diventato possibile sviluppare macchine in grado di analizzare ogni singola pianta e decidere se e quando sia necessario eliminare erbe infestanti o parassiti, se e quali piante necessitino di essere irrigate e quali frutti siano maturi.

Quella che si sta aprendo, o si aprirà in un futuro molto prossimo (per il momento si è arrivati ai prototipi), è dunque una nuova frontiera della meccanizzazione in agricoltura che, dopo la rivoluzione verde degli anni ’60 (trattori, pesticidi e fertilizzanti cambiarono il modo di produrre cibo), sembra andare incontro a una nuova era in cui l’uomo viene espulso dalla campagna. Nella sostanza, l’agricoltore di domani sarà una sorta di addetto alla sicurezza che, in una stanza piena di monitor, controllerà l’attività all’interno dei suoi campi riprogrammando software e monitorando parametri raccolti dai macchinari che in autonomia si aggireranno tra i filari. Niente più lavori faticosi, niente più schiene piegate.

Ora, fatto salvo che nessuno si sognerebbe di difendere un bracciantato fatto di sfruttamento e violenza, di diritti calpestati e di caporalato come vediamo spesso nelle campagne di tutto il mondo, alcune riflessioni vanno fatte: se si fatica a trovare lavoratori agricoli a causa di salari bassi e difficili condizioni di lavoro, possibile che la risposta sia eliminare il lavoro? Fin che si può si utilizza lavoro sfruttato salvo poi, invece che valorizzarlo e regolarizzarlo, sostituirlo con quello meccanizzato. Inoltre, chi potrà accedere a queste tecnologie? Solo i grandi potentati agricoli, che accumuleranno nelle loro mani sempre più potere produttivo e di mercato tendendo ad espellere i produttori di piccola scala. Insomma, il rischio è di andare incontro a una digitalizzazione dell’agricoltura che sia né più né meno che la riproposizione in versione rurale di quanto abbiamo visto accadere con i giganti del digitale. Concentrazione del potere, precarizzazione del lavoro, definitiva cesura del legame tra uomo e terra. Senza contare che, per usare i robot, serve intensificare ulteriormente il sistema produttivo tramite monocolture sempre più spinte.

Ciliegina sulla torta un dato: se la raccolta si può meccanizzare, quello che non si può automatizzare è la manutenzione dei macchinari. Perché? Perché si possono impiegare lavoratori con salario minimo che costano meno di un macchinario. I bei tempi andati non esistono, ma da questi segnali non c’è da aspettarsi nemmeno futuri mirabolanti.