La condotta sociale dell’agente e il suo atteggiamento interiore sono in gran parte una cosa sola. Il concetto di habitus trascende la distinzione categoriale tra interno ed esterno. Pertanto la postura del corpo di una persona (in greco hexis, in latino habitus) fa parte del suo approccio soggettivo al mondo. Si pensi alla grande importanza che la borghesia attribuiva alle buone maniere a tavola, le quali si riteneva indicassero non solo il controllo del corpo ma anche raffinatezza e buona educazione.

L’ESSERE A PROPRIO AGIO nell’uso delle buone maniere a tavola segnalava una padronanza sovrana delle convenzioni, un’attuazione apparentemente «naturale» degli standard sociali. I lettori di Proust conoscono l’ammirazione del giovane Marcel per queste capacità. Per lui erano un privilegio che permetteva alle persone di essere «‘al proprio posto’ nel mondo sociale» e di «affidarsi» alle proprie disposizioni. Più di recente, sono emersi nuovi modelli di questa padronanza apparentemente naturale delle tecniche corporee, ad esempio in utenti esperti di computer, di smartphone, di giochi elettronici.

Qui, ancora una volta, una certa attitudine si manifesta nella postura, nelle abilità e nei movimenti che sembrano quasi innati. Nella danza e nello sport l’apparente naturalezza nelle forme di movimento più complesse è il risultato di anni di duro allenamento. Casi di formazione professionale come questi mostrano più chiaramente che il corpo perfettamente allenato acquisisce abitudini che gli consentono di compiere le azioni altamente qualificate più straordinarie.

In base alla loro origine, al loro ambiente, alla loro istruzione e occupazione gli individui incorporano strutture che, a loro volta, consentono di identificarli come appartenenti ad uno specifico ambiente sociale. L’habitus di un individuo è entrambe le cose: la ricezione di fattori oggettivi e la miscela personale realizzata dell’agente. Di regola, i comportamenti richiesti e le preferenze soggettive si combinano nell’habitus: ciò che dovremmo fare è anche ciò che ci piace fare.

IL NOSTRO MODO DI VIVERE è quello che ci piace di più. Per caratterizzare questo atteggiamento Pierre Bourdieu fa riferimento al motto di Stendhal: amor fati. Non possiamo fare a meno di apprezzare l’ambiente sociale in cui ci ha posto il destino. In virtù del suo habitus l’agente appartiene a una certa classe sociale o gruppo ed esprime questo fatto con i suoi comportamenti, le sue preferenze, le cose che apprezza e i suoi gusti soggettivi. Di norma e nonostante l’occasionale fantasticare non vogliamo davvero scambiarci di posto con qualcun altro.

Un cambiamento di habitus si verifica invece quando i gusti dell’agente iniziano a funzionare in modo diverso rispetto a prima. Ciò può succedere quando l’agente avvia un mutamento nella propria identità personale. Questo è possibile in una certa misura perché l’identità personale è parte della natura interiore dell’agente, cioè di un dominio in cui il cambiamento (ad esempio, nello stile di vita, nell’autorappresentazione, nello stile dell’abbigliamento) può essere avviato da processi soggettivi. L’identità personale di un agente ha un grado di libertà maggiore rispetto alla sua identità sociale, poiché la seconda viene osservata, verificata e sanzionata dall’ambiente esterno in cui l’agente si inserisce.

QUANDO L’AGENTE si sforza di cambiare la sua relazione con se stesso si stacca dai suoi abituali giudizi di gusto, creando così una distanza dalla propria identità personale quotidiana che lascia spazio a nuove proiezioni di sé.
In Il Rosso e il Nero Stendhal descrive la metamorfosi ambivalente che avviene quando Julien Sorel, figlio di un contadino, indossa i panni del precettore domestico al suo arrivo a casa della signora de Rênal: il timido giovane quasi infantile si trasforma in una figura fredda, altezzosa, sprezzante. Ciò che è cambiato è la sua identità soggettiva; d’altro canto, la sua identità sociale, grazie a un lavoro mal pagato come tutor domestico, non è mutata quasi per nulla.

Nel contesto del concetto di habitus di Bourdieu, la proiezione da parte dell’agente di una nuova identità personale non è un atto libero della coscienza. In virtù delle sue condizioni di vita l’agente è vincolato alle condizioni reali del proprio habitus (e, quindi, alla propria identità sociale). Il suo margine di cambiamento è definito dalle possibilità del suo habitus. All’interno di questo ambito può emergere un desiderio di cambiamento e miglioramento personale, che l’agente può condividere con gli altri.

SE ALCUNI SCONVOLGIMENTI politici come le rivoluzioni o la ricostruzione politica di un paese forniscano o meno lo spazio per cambiamenti fondamentali dell’habitus costituisce una domanda interessante. Le risposte possono variare da caso a caso. Dovrebbe tuttavia essere chiaro che l’habitus sociale è un potente elemento vincolante che spiega la permanenza delle condizioni esistenti, ma non ha la forza di inibire sul lungo periodo il desiderio di cambiamento.

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(Traduzione dall’inglese di Tessa Marzotto Caotorta)

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SCHEDA. Da domani a Carpi Modena e Sassuolo

Da domani a domenica 19 settembre, il festivalfilosofia, giunto alla sua ventunesima edizione, ritorna dal vivo tra Carpi Modena e Sassuolo con oltre 150 appuntamenti fra lezioni magistrali, mostre e spettacoli. Il tema affrontato quest’anno è quello della libertà che verrà discusso da 45 presenze fra relatori e relatrici tra cui spiccano, nel loro debutto come ospiti, Axel Honneth, Michael Ignatieff, Marc Lazar e Catherine Malabou. Il programma completo è consultabile su www.festivalfilosofia.it