Il writing che non avete mai visto, segni di un’epoca lontana primogenitura per nuove generazioni di scrittori urbani. Italia back in the days, si torna al punto di partenza zero, tra la fine degli anni ‘80 e gli inizi dei ’90, quando la fame di aerosol culture proveniente dalla Grande Mela si presentava a un writer alle prime armi come una necessità tutta da inventare, per di più in modalità off-line visto che internet non esisteva.

Lungo l’asse Milano-Roma si sviluppa il viaggio all’indietro di due libri di recente pubblicazione: Buio dentro di Corrado Piazza, classe 1977, in una nuova versione arricchita (Shake Edizioni, pp. 252, euro 20) e il più massiccio Roma Subway Art curato da Mathieu Romeo e Lorenzo D’Ambra (Whole Train Press, pp. 431, euro 49,90). Non solo due titoli sulla scena del writing, ma di essa entrambi raccolgono l’aspetto stilistico più selvaggio e indigesto, il bombing, abbinandolo alla pratica estrema per antonomasia, quella illegale dei treni, in una miscela di underground nostrano ben assortita.

DECINE E DECINE di foto in bianco e nero e altrettante testimonianze dei protagonisti ripercorrono, tra il 1987 e il 1998, «l’età leggendaria del writing underground a Milano», come recita il sottotitolo di Buio dentro. E non a torto, visto che di racconti epici intorno alle poche linee dell’Atm a disposizione ne circolavano parecchi già allora, veicolati da nomi quali Fly Cat, Mad Bob, Spyder 7, Tritalo, Sky-4, Shad, Raptus, Mec, Craze e Bang, solo per citarne alcuni.

Dal buio riemergono storie, episodi e piccoli aneddoti sulla loro discesa nella città di sotto: dapprima le incursioni nei depositi esterni di Gorgonzola, Cologno nord, Precotto e Gallaratese, poi la caccia ai treni risalendo tunnel e binari fino a conquistare la linea M1 a Loreto e a Porta Venezia, finché «a un certo punto salta fuori il passepartout delle stazioni di Milano». Furono i Ckc a entrarne per primi in possesso grazie a frequentazioni fortuite al loro campo base, il centro sociale Leoncavallo; da allora «procurarsi le chiavi» divenne uno status symbol, così che ogni crew di livello si adoperò in maniera diversa, da adattamenti di catene del motorino a sistematiche sottrazioni dai gabbiotti della sorveglianza.

PADRONA DI CASA assoluta in un territorio appena esplorato, la old school milanese vi introdusse la sua variante stilistica, con la crew dei Pwd ad aprire la strada dei graffiti lungo le banchine di sosta piuttosto che sui vagoni. Questioni di visibilità e di sopravvivenza, perché va bene il modello newyorchese di riferimento ma se poi di treni già se ne contano pochi e una volta dipinti neanche vengono rimessi in circolazione – e se perciò il tuo Nome non gira nonostante tu abbia trascorso la notte in yard rischiando magari una denuncia – allora tocca ingegnarsi e affinare il getting up – l’emergere, l’uscire fuori, lo spirito del gioco – alle sopravvenute circostanze ambientali, affinché la competizione stilistica possa avere inizio.

MILANO CHIAMA, Roma risponde; in quanto a writing la città eterna non è stata seconda a nessuno, con un primato imbattuto negli anni ‘90 di capitale europea con la metropolitana più «devastata» che farebbe trasalire oggi i sostenitori del decoro e retaker vari. Roma Subway Art copre un’era di diciotto anni con centinaia di foto a colori e una lista infinita di writer (testi solo in inglese); ogni particella aerosol spruzzata all’interno del Grande raccordo anulare tra il 1992 e il 2020 non è sfuggita al setaccio dei due curatori, a loro volta insider della scena. La Roma-Lido di Ice One e i suoi 24/7, il blitz degli MT2 a Ostiense, la Nomentano abbandonata con le 00199 crew resident; ne segue una fase di grande fermento e nel 1994 ci pensarono gli Etc a imprimere un’accelerata significativa profanando per primi la linea A dall’unico tratto scoperto a Ponte Nenni. Un’impresa audace, la loro, che inaugurò l’età dell’oro, così come testimoniano anche i numerosi writer europei che tra il 1996 e il 2000 trovarono a Roma un ambiente decisamente meno ostile rispetto alle città natali dove erano già in atto severe politiche anti-graffiti.

LE YARD DI LAURENTINA per la linea B e di Magliana per la Roma-Lido prese d’assalto, ad Anagnina si cercavano altre vie di accesso alla A; più pezzi circolavano, più il numero di writer aumentava, più la disponibilità di lamiera scarseggiava finché, agli inizi del nuovo millennio, il pugno duro di una Co.tral in pesante passivo spinse definitivamente i writer verso aree periferiche meno battute – Civita Castellana e Pantano -, dove in parte erano già migrati a causa della saturazione delle linee urbane. Qualche anno di declino a parte, dal 2011 si impone a Roma un bombing ancora più selvaggio e hard-core, segno del mutato passo di tempi e di atteggiamenti, di cui basta farsi un giro in città per verificarne lo stato di salute.

Nel complesso Buio dentro e Roma Subway Art restituiscono il ritratto di una gioventù di mezzo sfuggita per coincidenza anagrafica all’avvento della rete prima e alla bulimia social dopo; storie di una generazione analogica che hanno trovato riparo nel fondo di un cassetto, dove sarebbero rimaste ancora a lungo se qualcuno non si fosse preso la briga di andarle a scovare e dare loro forma compiuta. Chiamiamolo pure sforzo storiografico, di gran livello, tra l’altro, visto l’enorme lavoro di ricerca svolto, utile, per di più, a discernere l’underground dal mainstream una volta che i confini tra questi due mondi appaiono sempre meno definiti.

DIFFICILE INCONTRARE in queste pagine vezzi commemorativi e celebrativi, a cui neanche le culture giovanili più radicali si sono sottratte negli ultimi anni nella rincorsa di un anniversario appresso all’altro. Nessun gusto del «come eravamo», un racconto che viene da lontano e che semmai si proietta nel presente con il compiacimento di chi osserva solo un ciclo naturale, se non bastassero tutti quei Nomi dipinti a spray su muri e treni in cui ancora oggi ci imbattiamo a ricordarcelo e a farcelo notare.