Il film del secolo: una lunga conversazione a tre (R. Rossanda, M. Ciotta, R. Silvestri) su un secolo di cinema, con particolari riferimenti alle vicissitudini politiche e culturali  degli eretici del  “manifesto”.  Quanto a me, da ogni film, da ogni libro che parli di film, da ogni film che parli (o no) di libri, ormai non posso fare a meno di ricercare sfumature, precisazioni, approfondimenti, sul cinema in quanto universo dei fantasmi. Qui allora ci si può chiedere: la storia, la politica, hanno a che fare coi fantasmi? Sono mai possibili prove di rivoluzione, senza tenerne conto in qualche modo?

In che senso Il film del secolo ci parla (mi parla) di fantasmi? In molti sensi. Prima di tutto, sono i fantasmi dell’infanzia, ricordi a stento conservati del primo impatto col cinema, avvenuto da bambini, non senza inquietudini e terrori. Rossanda ricorda scene paurose di Trader Horn, film del ’31 sui trafficanti d’avorio in Africa (“è il grande buio di quel che non si sa, e nel quale potremmo cadere”); Mariuccia Ciotta evoca gli spaventi infantili provocati dalle creature più terrificanti (la strega…) del pur amatissimo Walt Disney.

Fantasmi come creature nascoste nell’ombra, dunque, in agguato nelle tenebre, nel grande buio di ciò che non si conosce ancora, proprio come il piccolo Victor Erice, dopo aver visto L’artiglio scarlatto (una delle avventure filmiche di Sherlock Holmes/Basil Rathbone, in cui l’infallibile detective smascherava un postino omicida), per anni ebbe paura dei postini, e non poteva sentire senza un brivido il suono del fischietto col quale, un tempo, annunciavano il loro arrivo nei piccoli paesi della Spagna.

Primi terrori, primi innamoramenti. La ragazza Rossanda, che abitava a Venezia con la famiglia, sognava di incontrare Gary Cooper al Lido durante il Festival, o Robert Taylor – oppure, in mancanza, Fosco Giachetti: senza mai averne l’occasione. Invece più tardi, al Cineguf di Ca’ Foscari, ebbe modo di farsi impressionare dai mostri dell’espressionismo tedesco, in primo luogo dal Nosferatu di Murnau – già, quello stesso Nosferatu che, più o meno negli stessi anni, inquietava Virginia Woolf, intenta a decifrare sullo schermo la presenza di misteriose macchie oscure.

Fantasmi come spettri, anche, del tipo che incontra il povero vasaio di Mizoguchi, nei Racconti della luna pallida d’Agosto. E fantasmi nel senso di corpi di uomini e donne, attori e attrici, divi e divine, star, corpi gloriosi (Greta Garbo, Ava Gardner), che non ci sono più, dei quali restano solo le immagini in movimento, di insostenibile bellezza, testimonianze lancinanti del lavoro della morte.

Ancora: fantasmi di noi spettatori partecipi e coinvolti, che non ci limitiamo a vedere, ma entriamo nelle inquadrature col nostro secondo corpo, il nostro corpo/fantasma – operazione molto più difficile da compiere con qualunque altra pratica dell’immaginario, inclusa la letteratura, le cui ragioni Rossanda in particolare non manca mai di tener presenti.
Eppure man mano che la conversazione va avanti, ci si accorge che la posta in gioco riguarda proprio l’invasione, l’ibridazione, la contaminazione della Storia (e della politica), da parte dei fantasmi del cinema, tanto invadenti, così screanzati, da non fermarsi davanti a niente. Di fronte a questa contaminazione (le ragioni della favola, si potrebbe anche dire), Ciotta e Silvestri si trovano a loro agio, non hanno problemi – Rossanda resiste, distingue, protesta, si agita, vorrebbe precisare (“non mi tornano i tempi”).
Cosa sono, in effetti, i fantasmi del film per un politico? E’ in grado un politico (in questo caso, un politico/donna) di accoglierli davvero nel suo universo? O deve (è suo compito) prendere atto di fatti e circostanze reali, distinguere, escludere suggestioni e metafore? Ma per questa esclusione, la politica non rischia di soffocare? La stessa avventura della Rossanda, il suo coraggio, la limpidezza delle sue posizioni politiche, e magari perfino le sue sconfitte, non sono forse state possibili anche per l’oscura consapevolezza (si, un ossimoro) che il reale è hanté, infestato dai fantasmi? Che la fame , la paura, la morte, la rivoluzione (le cose “concrete”), non sono mai (troppo) semplici? Che una rivoluzione senza più immaginario, o con un immaginario scadente, ridotto a cerimonie imbalsamate, ripetizione di slogan, bandiere sventolanti in meste coreografie, è già sintomo di una rivoluzione tradita?

I fatti, i fatti. I fatti non si lasciano leggere dagli analfabeti dell’immaginario. E’ vero che nessun grande film cambia il mondo, ma può cambiare lo sguardo, e solo se cambia lo sguardo sul mondo, ci si accorge dei simulacri, delle creazioni mitologiche, delle false sembianze, dei fantasmi mascherati, degli orribili o splendidi inganni, che si incontrano a ogni passo, e potrebbe venir voglia di provare a esorcizzarli. Questo libro, tutto sommato, somiglia appunto a un esorcismo, eseguito con fiducia o con un po’ di (salutare) diffidenza: a venirne fuori non è tanto una storia del cinema, sia pure per lampi e scorci rapidi, quanto la storia dei rapporti (diversi) col cinema di tre speciali esploratori dell’universo dei fantasmi.

Sono anche, questi tre, due donne e un uomo, il che non è senza importanza, perfino per un approccio politico. Rossana chiede se le figure di dark ladies e femmine folli, nel cinema americano, siano mai sfuggite a una fine tragica, e se dunque possano essere considerate indizi d’una reale emancipazione dell’immaginario femminile dagli stereotipi maschili dominanti. Chiaramente, ne dubita. Mariuccia cita le maschiette scatenate degli anni venti e in particolare It, un film/commedia con Clara Bow.  Magari si sarebbe potuto tornare sullo “scandaloso” Ragazze in uniforme, film tedesco tutto al femminile, citato all’inizio da Rossanda, ricordando che la regista Leontine Sagan aveva approntato due finali alternativi. In uno, la collegiale innamorata della sua insegnante tenta il suicidio, ma viene salvata all’ultimo momento, in una sorta di lieto fine; nell’altro, il suicidio ha effettivamente luogo. Bene – pare che per l’uscita in America i distributori avessero scelto il secondo finale, a conferma del fatto che, con tutta la simpatia per la giovane protagonista, una passione così fuori norma, di tipo chiaramente lesbico, non poteva non avere un esito tragico. Resta il fatto che l’emancipazione legata ai temi del gender sia così strettamente connessa, in questo film, a una polemica anti-prussiana e libertaria. Che sia proprio Ragazze in uniforme da considerare, sotto questo aspetto, il film del secolo?