Buono, pregiato, ambito dai pescatori e amato dai consumatori italiani: è il pesce spada del Mediterraneo. Sarebbe bello potersi fermare qui e invece quella del pesce spada di casa nostra è una storia ben più complessa e con un finale al momento ben poco lieto.

Sì perché il pesce spada è anche una specie in forte declino, per due ragioni: lo peschiamo troppo e male. Dagli anni ’70 ad oggi la popolazione di spada del Mediterraneo sono progressivamente diminuite e da molto tempo gli esperti hanno suggerito di ridurre le catture per scongiurare il collasso della specie. Ma come è già avvenuto per il tonno rosso – altra specie mediterranea di grande pregio – i loro avvertimenti sono rimasti inascoltati sia dai tanti politici e ministri che in tutti questi anni hanno fatto orecchie da mercante, sia dai pescatori e dalle loro associazioni di rappresentanza che anziché tutelare la sostenibilità ambientale per garantire un futuro al settore, hanno al contrario favorito il proliferare della pesca eccesiva e illegale.

Come dimostrato anche da un recente video girato da Greenpeace con telecamere nascoste in alcuni mercati italiani e da un rapporto pubblicato qualche settimana fa, il problema della pesca e vendita illegale di pesce spada è noto, diffuso e confermato da numerosi sequestri e sanzioni comminate per il commercio illegale e l’utilizzo di reti derivanti illegali. Note come spadare o muri della morte, sono l’attrezzo di pesca più utilizzato dai pirati del mare a caccia di spada e tonni. Pratiche illegali, anche reiterate, nella pesca del pesce spada sono note da anni e continuano ancora a verificarsi. Si conoscono i porti, i pescherecci e i trucchi usati dai pescatori disonesti. Nel 2008 l’Italia fu costretta a restituire all’Ue quasi 8 milioni di euro per aver violato il divieto di utilizzo di reti illegali e nel 2012 la Commissione europea, proprio alla luce delle irregolarità riscontrate, per ovviare alle (decennali) carenze del sistema italiano sui controlli decise di adottare un piano d’azione specifico per l’Italia: pensato soprattutto per intervenire sulle attività di pesca del pesce spada e del tonno. Il giro di boa è arrivato quest’anno: l’Iccat, la Commissione internazionale che gestisce la pesca di specie come il tonno e il pesce spada, ha finalmente deciso di imporre delle quote di pesca per lo spada, ovvero limiti massimi di cattura al fine di garantire il recupero della specie. Ma, invece di investire tempo e risorse per aumentare i controlli e gestire meglio la pesca, i nostri politici – capitanati dal ministro Martina e spalleggiati dalle associazioni della pesca – hanno fatto ricorso contro l’Ue che ha stabilito una quota per l’Italia inferiore a quanto i pescatori si aspettavano. Una scelta secondo Greenpeace pericolosa e preoccupante, in quanto sottovaluta il problema e gli impatti ambientali della pesca illegale del pesce spada. La speranza è che questo vergognoso ricorso venga respinto e anche che sia revocata l’autorizzazione di pesca e l’accesso ai fondi pubblici ai pescatori che hanno pescato illegalmente, così come previsto dalla legge. Per garantire un futuro non solo al pesce spada ma anche ai pescatori onesti.