Varcando la soglia degli studi Fonorama di Milano per il suo album d’esordio nel 1973, Antonello Venditti avrà certo sorriso per quel titolo indovinato, L’orso bruno. In cabina di regia un trentaduenne già gigante del mestiere, Bruno Malasoma detto Totem, richiesto in quegli stessi mesi da Battisti, Fossati, Nomadi e Orme. All’ombra dei grandi nomi della musica italiana, il suo campeggia su innumerevoli copertine. Se n’è andato poche settimane fa a 79 anni, ennesima vittima del nuovo male. Ellade Bandini, altra figura onnipresente delle sale d’incisione, ricorda: «Ho lavorato con i più grandi ingegneri del suono di quegli anni, Chiesa, Bisleri, De Rosa… ma Bruno era il mio preferito, riusciva sempre a darmi il sound che desideravo, morbido e rotondo, un suono che rotolava». Rendergli omaggio impone di riflettere sull’evoluzione professionale dei camici bianchi che proprio in quegli anni iniziano a rivendicare legittimazione artistica, contribuendo all’estetica del prodotto discografico e delineando quella che Bennett definisce la nostra recording consciousness. Malasoma è tra coloro che osano intromettersi, conferma Bandini: «Un tecnico e un musicista estremamente attento, abituato a stare in studio e a intuire quale via percorrere».

NELL’ANALIZZARE la musica contemporanea non si sottolinea mai abbastanza il ruolo di chi lavora all’interno dello studio di registrazione, un universo la cui implosione è cominciata ben prima della pandemia, con l’ascesa del digitale, inizialmente acclamato come portatore di democrazia tecnologica e creativa. Massimo Spinosa, altro veterano del settore, osserva: «Fino a quel punto lo studio era l’unico mezzo di produzione, oggi quasi nessuno ne usufruisce più. Sì, per alcuni generi musicali si continua a incidere in sala — vuoi per l’interplay, vuoi perché registrando una batteria a casa ti arriverebbe un plotone di polizia — ma sempre più spesso si produce in studi casalinghi basati su software alla portata di tutti e sempre più sofisticati». In termini economici, se in passato era possibile ammortizzare anche apparecchiature costosissime, adesso «gestire uno studio è come avere tre figli eroinomani!», ironizza caustico Spinosa. Democratizzazione contro despecializzazione, due facce della stessa medaglia. E poi la sopravvalutazione della domanda, gli investimenti economicamente fallimentari sull’alta fedeltà in un mercato totalmente incline a cedere risoluzione in cambio di portabilità.

IL CAMPO degli studios si contrae tra chiusure, licenziamenti e sottoccupazione, fino al collasso degli ultimi mesi. Nel frattempo, l’home recording ha trovato inattesi sviluppi nel format del live streaming, anch’esso destinato a sostituire parte delle tradizionali attività di studio. Molti operatori hanno già intrapreso la via della conversione, aggiornando l’attrezzatura video per garantire streaming di alta qualità, altri riformulano la stessa architettura interna degli spazi. Paolo Iafelice — braccio destro di Mauro Pagani alle Officine Meccaniche dal 1995 al 2005 — ci racconta delle modifiche apportate al suo studio Adesiva Discografica poco prima che iniziasse la pandemia: «Per ottimizzare gli spazi in base al mutamento della domanda ho deciso di creare un’altra regia, da affittare, dimezzando la sala di ripresa che ormai mi veniva richiesta pochissimo. Certo, capiterà di dover rifiutare dei lavori, perché ad esempio non ho più lo spazio per registrare un pianoforte a coda». Si ritiene comunque fortunato, sia per la reputazione consolidata in trent’anni di lavoro ai massimi livelli, sia per aver ottenuto i famigerati ristori, non senza problemi: «La prima domanda era stata rifiutata per una banale questione di codici Ateco. Mi ci è voluto tempo, e assistenza legale, per dimostrare che il mio era uno studio di registrazione, ti rendi conto?».

LO SMART WORKING musicale avrà anche i suoi lati positivi e in definitiva l’idea dovrebbe sempre prevalere sui sistemi produttivi; ma è inevitabile una rivoluzione del concetto stesso di studio, intersezione tra musica e scienza in cui convivono tecnologia, competenza, emotività, tempo e spazio. La storia delle arti racconterà ancora di spazi e forme transitorie, cui l’arte stessa sopravvive, e di moderni artigiani come Bruno Malasoma, artefici del nostro paesaggio sonoro. Figure silenziose ma autorevoli, proprio come un Totem.