«C’è vita a sinistra» scrive Norma Rangeri nel suo editoriale sul nuovo scenario politico italiano. Dovremmo dire «Grazie Renzi» perché se non avesse sofferto di onnipotenza, attaccato la Costituzione per un plebiscito personale e giocato il tutto per tutto, non avremmo visto questo risveglio. Ma abbiamo di fronte una grande questione anche se facciamo finta che non esista.

In una recente intervista su questo quotidiano Rossana Rossanda ad un certo punto faceva un’osservazione che, a mio avviso, è centrale in questa fase storica: «Penso che oggi ci sia un bisogno spontaneo della gente di avere più una persona a cui collegarsi che un’idea.

Ripenso a quando, all’inizio della storia del manifesto, noi 3 o 4 più in vista, sicuramente avevamo molto difetti, ma non la superbia del personalismo». In queste poche battute è racchiuso un passaggio epocale.

Ricordo che una decina di anni fa, a cena conversando con la giornalista e scrittrice Adele Cambria, una persona che ha dato tanto al femminismo quanto alla mia terra, le esposi le ragioni e gli obiettivi della nascente Sinistra Euro Mediterranea, e lei mi chiese, gelandomi: ma il leader chi è?

Nella rivoluzione culturale del ’68, come nelle lotte sociali degli anni ’60 e ’70, c’erano tanti leader di movimento, di gruppi e gruppuscoli della sinistra extraparlamentare, ma l’adesione ad un movimento o a un partito avveniva sul piano ideologico prima di essere il frutto di una identificazione personale.

Anche nel grande Pci sicuramente Togliatti aveva un carisma ed una naturale leadership che non aveva Longo, ma non per questo il partito si dissolse alla scomparsa del «Migliore».

Oggi, anche se non ci piace, la gran parte delle nuove forze politiche si costruisce sulla figura del leader che a sua volta è in buona parte modellato dai mass media.

Per l’appunto è quello che Mauro Calise ha chiamato Il partito personale così come ha recentemente intitolato il suo ultimo saggio La democrazia del leader, una forma di democrazia che non ci piace affatto ma con cui dobbiamo fare i conti.

Dalla fine degli anni ’70 del secolo scorso c’è stato un mutamento culturale radicale già intuito e denunciato con grande acume da Christopher Lasch nel testo che lo ha reso famoso, La cultura del narcisismo, accompagnato da un sottotitolo profetico: «L’individuo in fuga dal sociale in un’età di disillusioni collettive».

È in questa dimensione esistenziale che la ricerca del leader come punto di riferimento manifesta, allo stesso tempo, il bisogno di una guida che dia un orizzonte ed una speranza in un’epoca di «disillusioni collettive» ed il bisogno di fuggire dalla propria responsabilità/ impegno per cambiare la società.

La creazione di un partito o forza politica della Sinistra non potrà non porsi questo problema, che può anche essere affrontato nella sua migliore accezione. Vale a dire: la ricerca di un leader capace di cucire le diverse anime, culturali prima che politiche, del nostro paese. Con alcuni valori forti quali l’uguaglianza, la solidarietà, la pace ed il rispetto della natura.

È quello che hanno fatto Syriza ed il suo leader Alexis Tsipras in un paese con una tradizione di scontro tra le diverse anime della sinistra storica e nuova.

Ed è quello che ci auguriamo nasca anche nel nostro paese, ma che non può essere il frutto di meri accordi di vertice. D’altra parte, sappiamo bene che una forza autenticamente di sinistra nasce all’interno della sfera sociale, nelle forme dell’altreconomia e, soprattutto, nei momenti storici di mobilitazione e conflitto.

Il periodo migliore di Rifondazione comunista seguì ai fatti di Genova del luglio 2001.

In quel violento scontro, carico di torture, pestaggi e violazioni dei diritti umani fondamentali, nacque una generazione politica nuova che riempì le file di quel partito che Fausto Bertinotti, ultimo leader della sinistra radicale, aveva aperto al movimento Noglobal, che marciava contro i Grandi del G7.

Per questo la ricerca di un leader-regista, capace di unire e portare a sintesi le diverse spinte non può prescindere dalla costruzione di movimenti dal basso che lottano e si impegnano, sul piano locale-globale, nella costruzione di una cultura ed una pratica quotidiana alternativa a questa società capitalistica sempre più distruttiva dei legami sociali e degli ecosistemi.

  • Leggi alcune lettere ricevute su questo articolo e la replica dell’autore (pubblicate sul manifesto in edicola il 25 febbraio 2017)