È passato più di un mese dalla morte del cooperante Mario Paciolla a San Vincente del Caguán in Colombia e non si conoscono ancora i risultati dell’autopsia effettuata dalle autorità colombiane né di quella eseguita dai medici legali italiani. «Mario non si è suicidato: è stato ucciso» ribadiscono i genitori che sono stati i primi a parlare di omicidio e a chiedere che venissero aperte nuove indagini.

IL CASO È ORA sotto la responsabilità dei carabinieri del Ros, che si occupano di crimini su scala transnazionale e ciò sembra confermare l’ipotesi avvalorata fin dall’inizio anche su queste colonne, di un’esecuzione. Secondo quanto rivelava La Repubblica il 28 agosto, né i tagli sui polsi né i segni sul collo sembrano aver provocato il decesso. Nuovi dettagli da aggiungere alla serie di incongruenze riscontrate nella ricostruzione della polizia colombiana già descritte il 21 luglio da Maria Pirro su Il Mattino, come l’assenza di lame in grado di produrre le ferite ai polsi tra gli oggetti registrati sulla scena del crimine.

Mario aveva anticipato l’acquisto del volo di ritorno in Italia e quindi la fine della sua missione in Colombia: sarebbe dovuto partire per la capitale Bogotà poche ore dopo il suo ultimo accesso su whatsapp e da lì il 20 luglio si sarebbe dovuto imbarcare per tornare in Italia.

Secondo la madre era preoccupato per qualcosa di «sporco» con cui era entrato in contatto e aveva avuto un diverbio con i superiori dell’Onu.

ANCHE L’AMICA E GIORNALISTA Claudia Duque ha descritto la tensione nelle ultime settimane di vita di Mario, gli screzi con i suoi superiori, la via di fuga che si era preparato attraverso la terrazza della sua abitazione e la chiamata fatta al responsabile della sicurezza della Missione delle Nazioni unite a San Vicente, Christian Thompson; secondo la giornalista «una chiamata di questo genere è preoccupante, in quanto comporta l’attivazione di protocolli di allerta inconsueti in situazioni normali».

È STATO PROPRIO THOMPSON il primo a trovare il cadavere di Mario Paciolla e poi a far ripulire la stanza con candeggina, gettando al tempo stesso computer e telefoni appartenenti all’Onu in una discarica.

I quattro agenti della polizia investigativa colombiana che hanno permesso a Thompson di alterare la scena del crimine sono finiti sotto inchiesta da parte della Procura. Dopo le prime settimane di silenzio, e diverse mail inviate ai suoi dipendente ricordando l’obbligo di riservatezza e di non rilasciare interviste, l’Onu ha annunciato piena collaborazione ma senza fornire ulteriori dettagli e mantenendo la linea della discrezione. I genitori di Mario da subito hanno descritto il comportamento delle Nazioni unite come «reticente»

Una lettera sottoscritta da sindaci e assessori di diversi comuni d’Europa, tra cui Napoli, Trento, Padova e diversi municipi belgi, spagnoli e catalani, si rivolge direttamente al presidente colombiano Ivan Duque chiedendo un’indagine indipendente e trasparente che garantisca giustizia per il caso di Mario Paciolla.

[do action=”citazione”]Il 23 luglio il governo colombiano assicurava attraverso la cancelleria del ministero degli Esteri che sarebbe stato fatto «tutto il necessario affinché venga fatta giustizia e non vi sia impunità». Poi silenzio.[/do]

LA COLOMBIA, DOPO IL BRASILE di Bolsonaro, è il Paese del continente più colpito dal Covid-19. Il virus oltre a mostrare le carenze strutturali dello Stato ha esacerbato la violenza istituzionale e paramilitare limitando la rete di protezione di attivisti e attiviste per i diritti umani, che si sono trovati isolati in un doppio confinamento. Nell’ultimo mese sono stati compiuti dieci massacri in cui sono morte più di quaranta giovani e per nessuno di questi crimini è stato individuato un responsabile.

IL CLIMA DI IMPUNITÀ, violenza e corruzione che vige in Colombia non faciliterà la ricerca della verità sulla morte di Mario Paciolla. A maggior ragione in un contesto in cui il partito di governo è quotidianamente travolto da inchieste giudiziarie per finanziamenti illeciti, corruzione di testimoni, paramilitarismo, legami con il narcotraffico e massacri di civili.

Occorre quindi aumentare la pressione internazionale per far sì che le autorità di Colombia, Italia e Onu garantiscano un’inchiesta indipendente per fare luce sulla morte di Mario e rompere il silenzio omertoso nel quale decine di giovani continuano a essere assassinati.