Giornali e televisioni presentano la discussione in corso «a sinistra» come una vicenda ridicola fatta di ripicche personali, di egoismi elettorali, di autolesionismo miope e stupido. In realtà la posta in gioco è molto precisa: rinvigorire la traballante democrazia italiana, riportando al voto alcuni milioni di elettori strappandoli dall’astensionismo attraverso una critica severa alle ingiustizie e alle disuguaglianze.

Una critica severa, che dimostri a milioni di persone che sono possibili politiche diverse dalle attuali, per contrastare le ingiustizie e le disuguaglianze. Una critica fatta non di slogan, ma di politiche studiate, puntuali, ben precisate e ben argomentate, e condensate in parole d’ordine ben comprensibili.

Le cause della crescita dell’astensionismo sono sicuramente molteplici, ma certo molto ha pesato il senso di abbandono patito da molti elettori in seguito della diffusione di una visione politica incentrata sul paradigma neoliberista (e dunque sulla prevalenza delle esigenze delle imprese e della finanza rispetto alle esigenze delle persone).

Il paradigma va ribaltato: da «un euro, un voto» si deve passare a «un uomo, un voto». Occorre allora proporre alla società un nuovo baricentro: la valorizzazione del lavoro in tutti i suoi profili.

Il benessere collettivo deve essere un fine che lo Stato persegue direttamente, non solo, com’è oggi, indirettamente (ed eventualmente) attraverso il sostegno del profitto a favore delle imprese.

Ma non basta l’elaborazione di proposte politiche ben strutturate e dalle finalità chiaramente percepibili, che segnino un’inversione di rotta rispetto al paradigma neoliberista. Analoga chiarezza e strutturazione va seguita nell’organizzare l’elezione e nel definire il funzionamento dell’assemblea attraverso cui sarà decisa la presentazione della lista. Gli strumenti, le procedure, devono anticipare, prefigurare, incarnare i fini. In questo quadro si possono individuare i seguenti problemi e le seguenti possibili risposte:

1) Va decisamente rifiutato il modello di una assemblea convocata da qualcuno, che traccia il perimetro degli ammessi e degli esclusi, per procedere ad una acclamazione di colui e di coloro che guideranno la nuova organizzazione politica. A tal fine è necessario predisporre rapidamente (attraverso una circolazione tra tutti i soggetti interessati) un «manifesto» politico-programmatico, articolato ma sintetico, il cui riconoscimento determinerà l’area dei soggetti «costituenti».

2) Questo è solo il primissimo passo. Contemporaneamente è necessario definire i criteri di composizione e funzionamento dell’assemblea.

3) Se il riconoscimento reciproco tra i «soggetti costituenti» fosse molto solido si potrebbe procedere sulla strada dei Cln, che adottarono i criteri a) della designazione ad opera dei partiti dei membri dei Comitati; b) della parità tra i partiti nella composizione dei Comitati stessi e c) della unanimità delle decisioni. Questi ultimi criteri potrebbero essere temperati prevedendo un sistema elettorale non «per teste» ma per «organizzazioni», cioè per gruppi, eventualmente con maggioranze qualificate (ad esempio i 2/3: quattro su sei, se sei fossero i gruppi come nei Cln).

4) Questo sistema (che sarebbe il più semplice, se ci fosse una profonda volontà di collaborazione) lascerebbe ai singoli «soggetti costituenti» il compito di designare i membri dell’assemblea e di garantire la democraticità della scelta. Ma non sembra oggi percorribile. Sarà dunque, probabilmente, necessario comporre l’Assemblea mediante un’elezione.

5) Il primo problema che si pone, in questo caso, è: quale elettorato attivo? Non si può accettare come modalità di partecipazione il modello delle primarie aperte a tutti (senza alcun controllo e dunque inquinabili, e dunque inaffidabili), ma bisogna trovare il modo di valorizzare l’impegno politico e sociale di chi, in questi anni difficili, non si è abbandonato alla fuga nel proprio privato. Per questo il voto dovrebbe essere aperto solo a coloro che dimostrino di essere impegnati in attività politiche, sociali, di volontariato, ecc. Andrebbe individuato un elenco di associazioni e organizzazioni che accettino di rilasciare un biglietto di presentazione nominativo a coloro che intendono partecipare al voto (forze politiche, sindacati, Anpi, Acli, ong, ecc.). Il biglietto andrebbe poi ritirato al momento del voto per evitare doppie votazioni. In alternativa, il voto potrebbe essere consentito a coloro che sono in grado di dimostrare di essere stati iscritti, per almeno un anno negli ultimi cinque, a una delle associazioni elencate (ad esempio mostrando la tessera annuale).

6) Il secondo è: quale elettorato passivo? Ovviamente la scelta dei candidati sarà rimessa alle procedure interne che ogni «soggetto costituente» si darà.

7) Il terzo è: quale sistema elettorale? L’assemblea dovrebbe essere eletta ripartendo i delegati, su base rigorosamente proporzionale, tra le liste politiche concorrenti. Per favorire il radicamento territoriale della forza politica nascente occorrerebbe suddividere il territorio nazionale in collegi provinciali – o anche più piccoli, come gli attuali collegi elettorali del senato – che eleggono un numero di delegati in percentuale analoga a quella della popolazione del collegio rispetto alla popolazione nazionale.

8) Infine: quale maggioranza per decidere? Ovviamente, anche in caso di assemblea eletta, si dovrà scegliere se si voterà solo per testa o anche per gruppo, ed eventualmente con maggioranze qualificate.

Terracini, all’Assemblea costituente, diceva che rappresentare vuol dire prima di tutto dare il buon esempio. Dare il buon esempio significa ambire a porsi come modello di serietà e di impegno per quegli elettori che hanno maturato un disprezzo verso le modalità di azione di troppa parte della classe politica.