Nei Giorni di Orosia, il 20 e 21 marzo la tecnologia ha funzionato. È mancato il calore degli abbracci ma è stata una testimonianza di vicinanza e del credere nella cura della terra e della vita come bene comune. Poi qui al cohousing siamo tornati ai nostri chiari scuri. I chiari della margherite nei prati, dei primi ciliegi in fiore, delle sere verso l’estate. Gli scuri, della pandemia. Non c’è la tavolata per Pasqua, ma ci si incontra on line per gli Auguri. Il discorso va là: vaccini, lock down e poi sul futuro e sul passato. l’Ernesto parla della rivolta della natura, troppo maltrattata: tante parole e pochi fatti. Olga della vittoria del diavolo per la perdita di Dialogo con Dio. Smirna si sfoga sulla sanità degradata dove il balletto di poteri politici ed economici ha visto anni di tagli, lunghe liste di attesa, incompetenza. La pandemia ci fa parlare del nostro stare nel mondo: nostalgie e mostri. «Quello che stavamo cercando» è il titolo del recente libro di Alessandro Baricco, Ed. Feltrinelli 2021: 33 frammenti riflessivi sulla pandemia.

L’idea è che la pandemia sia molto più che emergenza sanitaria: è una creazione mitica. I miti per Baricco assemblano schegge di ciò che accade componendo creature atroci o virtuose. Il mito è un prodotto artigianale con cui gli umani «urlano» qualcosa di urgente e vitale. La pandemia come creatura mitica, nata dall’incipit di un virus, si è impossessata delle vite del mondo, contagia le menti prima dei corpi. Incubata inconsapevolmente è esplosa come un «urlo». Non bisogna spaventarsi, ma ascoltare. E scrive Baricco che in questo urlo c’è di tutto. C’è il bisogno di fermarsi in una follia di ritmi per cui si vede molto ma ciecamente, si conosce molto ma senza capire. C’è il chiedere aiuto dalla prigione di una «storia addomesticata», dove quante volte si è detto nulla come prima, anche dopo l’11 settembre, e tutto è come prima. C’è la perdita degli anziani (in guerra morivano i giovani) anche come sgradevole utopia di forza e purezza. C’è una salute economica misurata in Pil in frantumi, senza significato nel terremoto dei numeri. C’è bisogno di ordine e disciplina, non come espressione di forza, ma cura di fragilità in una civiltà che vantava libertà. C’è la lezione tattica della vittoria del contagio rispetto allo scontro frontale, per cui, per salvare la terra, fa di più lo sguardo fermo di una ragazzina che tanti anni di diatribe intellettuali. E c’è molto altro. Quando l’onda del mito si ritirerà, le scoperte della scienza saranno le conchiglie rimaste, ma dobbiamo continuare ad ascoltare l’eco di una sua profezia: morire da soli e senza sapere di cosa è la sintesi mitica di un nostro possibile destino. Un destino che, ci guardiamo e lo sappiamo, siamo qui insieme per cercare di cambiare.