L’Ncd non c’è più. Nel Paese non è mai esistito. In Parlamento è deflagrato. A dare fuoco alle polveri è Gaetano Quagliariello, dando seguito a quanto annunciato di fatto martedì al Senato, nella dichiarazione di voto sulla riforma costituzionale. Neanche 24 ore dopo, l’ex ministro prende carta e penna, scrive ad Angelino Alfano e va giù quasi piatto: è ora di uscire dal governo. In caso contrario, un nuovo gruppo parlamentare è dietro l’angolo. Seguono, a questo punto obbligatorie, le dimissioni da coordinatore del partito.

La reazione di Alfano è sbrigativa: «Non ho costretto nessuno a entrare. Non trattengo a forza nessuno». Qualche senatrice del gruppone centrista si affretta a prendere le distanze: «Noi continuiamo a tenere i piedi ben piantati in questo governo». In realtà sarebbero in parecchi, invece, i senatori pronti a seguire Quagliariello: nove o dieci, incluso nel mazzo qualche nome pesante come Andrea Augello, ex ras assoluto di An a Roma, e Carlo Giovanardi. E’ proprio Augello a spiegare i motivi della imminente e ormai certa dipartita: «Questo governo e questa maggioranza stanno per varare provvedimenti che con la nostra linea non c’entrano niente, come la legge sulle unioni civili, lo ius soli temperato, il numero identificativo sui caschi della polizia. Ma un’alternativa a Renzi non la si può costruire il giorno prima delle elezioni. Bisogna almeno passare subito all’appoggio esterno».

Messa così sembrerebbe la premessa a un ennesimo tentativo, votato a sicuro fallimento, di costruire la solita «alternativa moderata» al Pd di Matteo Renzi: impresa impossibile essendo quello spazio politico già occupato appunto dal partito del premier.

In realtà il senso delle parole di Augello e dell’annuncio di Quagliariello è diverso: non si può rientrare nel centrodestra subito prima delle elezioni, la marcia di riavvicinamento ad Arcore ha i suoi tempi. Ma la meta finale è quella. E’ il ritorno all’ovile azzurro, sotto le ali di Silvio Berlusconi, che anche nel disastro sono sempre più larghe e protettive di quelle inesistenti di Angelino Alfano.

Non lo si farà subito, però. I transfughi del partito dei transfughi di Forza Italia (e ammettiamolo, seguire le giravolte degli orfani della Cdl è ormai un’impresa) per il momento si limiteranno ad abbandonare Angelino continuando ad assicurare al governo l’appoggio esterno, non votando però i provvedimenti più ostici. Poi, alla prima occasione, verrà fatto un passettino ulteriore. Ma il percorso è incerto perché in tutto l’ex centrodestra campeggia ancora il sogno, rinvigorito dall’intervento in aula di Giorgio Napolitano, di una modifica dell’Italicum col passaggio dal premio di lista a quello di coalizione. Qualora dovesse davvero realizzarsi l’agognata modifica della legge elettorale, probabilmente i centristi senza più casa tenterebbero davvero di mettere in piedi un cartello, con l’obiettivo di riequilibrare un polo altrimenti troppo sbilanciato sul versante radicale e sperando di attrarre i voti di un elettorato tradizionalmente berlusconiano ma spaventato dalle intemperanze di Salvini e dal neofascismo latente di Fratelli d’Italia. In caso contrario, se come è probabile l’Italicum resterà quello che è, non gli resterà altra chance se non rientrare ordinatamente in Fi.

Saranno accolti a braccia aperte. Il primo a complimentarsi via tweet con Quagliariello, ieri, è stato Brunetta: «Ogni tanto qualche barlume di luce tra gli amici dell’Ncd». Un po’ dipende dal fatto che Berlusconi è un tipo che non porta rancore. Molto dal fatto che per l’ex cavaliere il fallimento di ogni ipotesi centrista è un vantaggio secco. La sua strategia è quella di sempre: una coalizione il più vasta possibile, se del caso mascherata da lista unica. Ma ora, a differenza che in passato, il ruolo della forza più moderata e centrista spetterà al suo partito. Meglio evitare ogni possibile concorrenza.