Che i mercati e gli esponenti politici del Partito Unico dell’Austerità festeggino il programma di Quantitative Easing (Qe) varato dalla Bce non dovrebbe stupire.

Lascia esterrefatti, invece, che in ambito sindacale e negli ambienti «di sinistra», ci sia chi saluti positivamente una manovra caratterizzata da almeno quattro grosse criticità.

  1. Il fatto che solo il 20% degli acquisti di titoli di Stato e bond privati siano garantiti dall’istituto di Francoforte, mentre il restante 80% debba essere garantito dalla singole banche centrali nazionali rappresenta una vittoria clamorosa dei falchi tedeschi della Bundesbank. In sostanza, gli Stati si faranno garanti di una quota maggioritaria anche dei prodotti emessi da aziende private del loro territorio ed acquistate dalla Bce, con il rischio di un nuovo aumento del debito pubblico in caso di perdite su questi strumenti.
  2. La Bce potrà investire solo in obbligazioni di Stati aventi un rating almeno pari a investment grade oppure sottoposti ai programmi di «aiuto» del Fondo Monetario. Ciò rappresenta un rafforzamento della linea dell’austerità ed un avvertimento in particolare a Syriza: l’unica condizione per accedere al programma è la continuità, nel segno del rispetto dei principi della superiorità dei mercati finanziari sulla sovranità nazionale e della ineluttabilità delle «riforme».
  3. Lo strumento è potenzialmente pericoloso. Con il Qe le banche centrali stampano moneta che immettono sui mercati finanziari tramite l’acquisto di titoli. Come ampliamente dimostrato dal caso Usa, la maggior parte del danaro pompato rimane all’interno dei circuiti finanziari. Indubbiamente, la centralità assunta dai mercati finanziari come «creatori di ricchezza» rende possibile nel breve un aumento anche consistente del Pil. Esso è però generato da una crescita senza precedenti dei corsi azionari, con il rischio di determinare nel medio periodo lo scoppio di una pericolosa bolla sui mercati stessi ed una nuova contrazione del Pil.
  4. Il caso americano ci dimostra anche che ad una crescita del Pil trainata dai mercati finanziari, corrisponde un enorme aumento delle disuguaglianze tra chi può massicciamente investire sul rally azionario e chi non detiene risparmi significativi. La stessa forte diminuzione della disoccupazione negli Usa, è avvenuta grazie soprattutto ai programmi di reshoring posti in essere dall’Ammistrazione Obama. Con questi programmi, le aziende Usa sono tornate ad investire nel loro paese, in cambio di consistenti sgravi fiscali, incentivi economici e abbattimenti del costo del lavoro che hanno intaccato soprattutto i salari dei nuovi assunti. Si tratta in sostanza della versione a stelle e strisce delle riforme che anche Draghi pretende come contropartita.

Ecco, spiegato in breve, la giustificazione dell’entusiasmo dei mercati. Come facciano ad essere soddisfatti di questa manovra coloro i quali vorrebbero, almeno a parole, limitare lo strapotere dei mercati finanziari, rimane un mistero.