«L’impeachment a Trump? Si tratta solo della continuazione della lotta politica interna. Il Partito democratico, ha cercato di raggiungere i suoi obiettivi con altri mezzi accusando Trump di cospirare con la Russia e poi quando ha scoperto che cospirazione non c’era, ha tirato fuori la vicenda della pressione sull’Ucraina».

Nell’affollatissima conferenza stampa di fine anno a cui hanno preso parte a Mosca oltre 2mila giornalisti, Vladimir Putin mostra di non aver dubbi su come caratterizzare la messa sotto accusa del capo della Casa bianca: un ulteriore episodio di un’intensa lotta di apparati. «Ma continueremo a confrontarci con Trump finché resterà in carica e non è detto che non lo resterà ancora a lungo», ha chiosato.

Una valutazione cara agli analisti del Cremlino, secondo cui lo scandalo ucraino si potrebbe dimostrare un boomerang per i democratici. A proposito di termini di mandato per la prima volta Putin ha aperto all’ipotesi di eliminare il termine di due mandati consecutivi per quanto riguarda la carica della presidenza dello Stato russo.

Il dado sarebbe tratto e la speranza accarezzata da molti suoi collaboratori di farlo diventare un vero e proprio Zar lo avrebbe convinto a farsi rieleggere ancora tra quattro anni e di restare al Cremlino fino quasi all’età di 80 anni.

E a proposito dell’Ucraina e della trattativa sul Donbass Putin ha ripetuto che ogni tipo di manomissione degli accordi di Minsk anelati da Zelensky sarebbero inaccettabili e potrebbero condurre a soluzioni tragiche «stile Sebrenica» e condurre non alla pace ma alla pulizia etnica della popolazione russofona nell’Ucraina orientale «da parte dei nazionalisti ucraini».

Allo stesso tempo il presidente ha messo per la prima volta in rilievo un aspetto della contesa che sembrava risolto: il permanere in entrambi lati del fronte di gruppi di foreign fighers che rappresentano un ostacolo oggettivo alla risoluzione del conflitto.

In merito alla questione ambientale Putin si è mosso con circospezione, riconoscendo l’esistenza del problema, ma ha respinto la tendenza di molti osservatori di fare della Federazione il capo espiatorio di tutti i malanni del pianeta: «La Russia non è tra i primissimi produttori di emissioni nocive. Secondo l’Onu, gli Usa e la Repubblica popolare cinese ne emettono il 16% del totale. Quindi c’è la Ue con l’11% e poi la Russia con il 6%».

Ma si è detto «insicuro» del fatto che il riscaldamento globale sia frutto di un’emergenza ambientale: «Sappiamo che nella storia della Terra ci sono stati periodi in cui c’è stato un riscaldamento e un raffreddamento e può dipendere dai processi globali nell’Universo. Calcolare come l’umanità moderna sta influenzando il cambiamento climatico globale è molto difficile, se non impossibile», ha sostenuto Putin che ha però ribadito l’impegno a combattere i cambiamenti climatici.

Il leader russo ha voluto soffermarsi anche su alcune pagine di storia del paese. Sulla decisione del parlamento europeo di equiparare l’Urss staliniana alla Germania nazista è stato netto: «La decisione del Parlamento europeo la considero assolutamente inaccettabile. La nostra gente è stata la prima vittima del totalitarismo. Lo abbiamo condannato così come il culto della personalità. Ma mettere sullo stesso piano l’Unione Sovietica e la Germania nazista è l’apice del cinismo».

Ma ha voluto anche fare un passo ulteriore indietro, sferrando un attacco frontale a Lenin, il fondatore dell’Urss, pur riconoscendo la necessità «per il momento» di non abbattere il mausoleo dedicato sulla piazza Rossa.

Il leader bolscevico sarebbe stato per Putin, il precursore del «grande terrore» staliniano, una tesi a dir poco avventurosa ma diventata negli ultimi anni in Russia la vulgata di regime. Lenin in fondo «non era uno statista ma piuttosto un rivoluzionario» che avrebbe tentato di «distruggere le fondamenta della nostra storia millenaria», ha concluso. Una storia millenaria imperiale a cui Putin si ispira ogni giorno di più.