Le forze dell’esercito ucraino hanno riconquistato il municipio di Mariuopol, mentre si combatte nuovamente a Sloviansk (4 morti). Non cala la tensione nell’est del paese, ma ieri il presidente russo Vladimir Putin, che ha incontrato al Cremlino il presidente di turno dell’Osce Didier Burkhalter, ha aperto a varie soluzioni. Ha specificato che la scelta delle elezioni presidenziali del 25 maggio potrebbe essere la direzione giusta, purché siano garantiti i diritti di tutti. Si è poi rivolto direttamente ai filorussi, chiedendo di posticipare, invece, il referendum separatista dell’11 maggio e ha infine intimato a Kiev di porre fine all’offensiva militare a est.

I separatisti hanno recepito il messaggio e hanno comunicato di essere pronti a rinviare il referendum, ma prenderanno una decisione solo oggi quando la proposta sarà messa al voto del «consiglio popolare» dell’autoproclamata repubblica di Donetsk.

Tre obiettivi, quelli di Putin, all’interno di dichiarazioni che costituiscono un’importante apertura da parte di Mosca, verso una probabile nuova ondata di colloqui, purché siano presi in considerazione anche i separatisti. Condizione irrinunciabile, come specificato da Putin, è infatti un accordo tra Kiev e i ribelli delle regioni orientali. Non a caso ieri anche la cancelliera tedesca Angela Merkel ha proposto di tenere una «tavola rotonda» con tutte le parti coinvolte nel conflitto in Ucraina. Lo ha riportato uno straripante Putin; parteciperebbero sia la leadership filo occidentale di Kiev sia le forze filorusse del sudest dell’Ucraina. «Noi – ha aggiunto – la sosteniamo e consideriamo che si tratti di una buona proposta», anche se ad oggi il governo di Kiev ha rifiutato qualsiasi dialogo con i «separatisti».

Infine con un colpo di teatro il leader di Mosca ha annunciato di aver ritirato le proprie truppe ai confini. Scettica la Nato, che dapprima non ha creduto alle parole di Putin (che ha invitato l’Alleanza a controllare con i propri satelliti) e poi ha annunciato la possibilità di una presenza militare permanente nei paesi dell’est Europa. La questione sarà discussa da comandanti militari, ministri della difesa e degli esteri dei paesi alleati in vista del vertice Nato in programma nel Galles ai primi di settembre. Gli accordi a breve termine per la rotazione di forze di terra, mare e aree nei Baltici, in Romania e in Polonia, definiti dopo l’inizio della crisi in Crimea, termineranno alla fine dell’anno.

Tra diplomazia e questioni elettorali, sul campo la situazione rimane di alta tensione. Il 9 maggio, infatti, potrebbe essere la giornata capace di sancire una sorta di svolta, nel bene e nel male, per il paese. Si tratta della «Giornata della Vittoria», Den’ Pobedy, l’anniversario della vittoria nella seconda guerra mondiale contro i nazisti. La giornata è sempre stata celebrata con sfarzo e commozione nei paesi ex sovietici, ma quest’anno in Ucraina le cose cambieranno. A Odessa e Karkhiv, le autorità hanno ufficializzato che non si terrà alcuna parata, per timore di scontri. Potrebbe nascere, da questa decisione, l’effetto contrario. Specie a Odessa, dove il rogo provocato dai pro Majdan, è una ferita ancora aperta. Secondo alcuni testimoni le persone sarebbero state assediate all’interno del palazzo del sindacato, cui sarebbe stato dato fuoco tramite bottiglie molotov.

Alcune immagini che girano sul web testimoniano anche persone armate, intente a sparare con pistole, verso le finestre. Altre foto dimostrano cecchini degli ultra nazionalisti di Settore Destro, accampati in cima all’edificio e intenti a sparare alle persone che cercavano di uscire faticosamente dalle fiamme, alcuni buttandosi giù dalle finestre.

Non è tutto chiaro, ma una testimone, sopravvissuta al rogo, ha raccontato alla televisione russa Rt (che non brilla per equidistanza, va specificato) di aver visto massacrare con mazze e altri oggetti, persone all’interno dell’edificio. Si parla di molto più di 46 morti, la cifra ufficiale. La decisione di non consentire la parata crea un pericoloso clima: i filorussi, che considerano golpista e nazista il governo di Kiev, hanno già annunciato di non voler rinunciare alle celebrazioni, che assumono oggi un nuovo significato. E la tensione sarà alta il 9 maggio anche a Kiev: il Partito comunista e i militanti del partito delle Regioni (del deposto presidente Yanukovich) e dell’Unione panmilitare ucraina sfileranno nel centro della capitale, sino ad un massimo di 150 mila persone.

Il corteo è stato autorizzato, con il divieto però di usare bandiere di altri Stati, in particolare quella russa. Tutto può succedere, considerando che il centro di Kiev è ancora frequentato dai paramilitari di Settore Destro; alcuni dei militanti del gruppo neonazista si sono sguinzagliati a est, per partecipare alle operazioni militari contro i filorussi, Odessa compresa.