Ai giornalisti che gli chiedevano su quando scioglierà la riserva sulla presentazione alle elezioni presidenziali del 2018, Putin ha risposto per il momento di non pensarci perché super-indaffarato.

Forse anche perché è sicuro di vincerle, ma il presidente russo ha dovuto effettivamente rimettere giacca e cravatta solo dopo pochi giorni di pesca sul Baikal per affrontare di petto la crisi coreana che rischia, come ha detto, di «trasformarsi in una catastrofe». E così di ritorno dalla Cina ha fatto scalo Vladivostok dove si tiene il Eastern Economic Forum, per incontrare il presidente sudcoreano.

Nell’incontro, definito dalle parti «costruttivo», Putin ha chiesto a Moon Jae-in «di tenere nel giusto conto che malgrado la Russia abbia tradizionalmente rapporti di amicizia con la Corea del Nord» non sostiene il suo programma atomico.

«La nostra – ha aggiunto il capo del Cremlino – è una posizione non tattica ma di principio: il programma nucleare di Pyongyang viola la risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, viola i Trattati di non proliferazione, pone una minaccia per la sicurezza in Asia».

Putin ha però voluto allo stesso tempo appellarsi a Stati uniti e Corea del Sud «perché lascino da parte l’emotività e lascino perdere pressioni e sanzioni che metterebbero in un angolo Kim Jong-un» e in tal caso «potremmo presto trovarci di fronte ad azioni sconsiderate».

Moon Jae-in, da parte sua, apprezza, e molto, che il presidente russo si sia posto al centro della scena, permettendogli così di poter frenare i falchi della Casa Bianca.

«Sono felice che la Russia aderisca fermamente al principio della non proliferazione e della risoluzione del problema nucleare della Corea del Nord attraverso mezzi diplomatici. Sulla base di questa posizione russa, rafforzeremo i contatti strategici per risolvere il problema della Corea del Nord» ha affermato il presidente.

Naturalmente tutto ciò non significa che l’alleanza strategica con gli Usa verrà messa in discussione e forse neppure che la richiesta di nuove sanzioni verrà ritirata, ma per Seul a questo punto è importante avere un interlocutore credibile come Putin. Che, durante il colloquio, si è spinto a sostenere la possibilità di una collaborazione economica a tre.

«La Russia è pronta a realizzare progetti a tre con la partecipazione delle due Coree. Possiamo realizzare un gasdotto che attraversi le due Coree, l’integrazione degli impianti elettrici, una linea ferroviaria che colleghi i due paesi con la Russia» ha dichiarato. Una verve liberoscambista quella di Putin, già anticipata qualche giorno fa a Xiamen. «Dove non arriva la politica può arrivare l’economia», ha detto Putin.

Moon Jae-In si è detto disponibile a qualsiasi progetto economico che sviluppi la penisola e ha ripetuto che «Seul non è per l’incorporazione del Nord né per un colpo di Stato a Pyongyang».

Del resto l’attuale presidente coreano è un fautore della “Sunshine”, una sorta di Ostpolitik in salsa asiatica che punta ad allentare la «cortina di ferro» sul 38° parallelo. Per questo ha a lungo resistito alle pressioni americane sull’installazione del sistema difensivo Thaad, vera e propria bestia nera non solo della Corea del Nord ma anche della Cina.

Ma l’ascesa di Kim Jong-un ha reso le cose più difficili vista l’estrema diffidenza del «caro leader». Tempo fa la Corea del Sud aveva persino proposto alla Corea del Nord di realizzare insieme le olimpiadi invernali programmate a Seul per il prossimo anno, ma Pyongyang non si era neppure peritata di rispondere all’avance.

È difficile pensare a uno rapporto tra due paesi ormai così diversi culturalmente e che hanno anche accumulato una disparità di sviluppo economico così netto: il reddito pro capite del sud supera i 25 mila dollari l’anno mentre quello stimato del nord è di 1300.

Ora anche i sudcoreani sembrano rassegnati alla politica del muro contro muro. A Vladivostok, ieri, i ministri degli esteri delle due Coree si sono incrociati nei corridoi del summit e il plenipotenziario del nord ha proposto persino un colloquio. Proposta rifiutata dal suo omologo di Seul il quale ha sostenuto di «non vederne le condizioni politiche».