Nelle ore che hanno preceduto l’incontro di Ginevra, che potrebbe segnare un passaggio fondamentale nell’attuale crisi ucraina, ci sono stati alcuni scontri tra militari ucraini e filorussi a est, con 3 morti e 13 feriti. Il confronto è avvenuto a Mariuopol, città sul Mar Nero ad una trentina di chilometri dal confine con la Russia. Potrebbe essere uno degli ultimi «scontri» se l’accordo stipulato a Ginevra funzionerà.

Ci sarà da capire se l’ordine di demilitarizzare i gruppi paramilitari varrà anche a Kiev, dove del resto il Parlamento aveva da tempo ratificato un decreto che imponeva alle forze di estrema destra di abbandonare le armi. Per quanto il fronte dell’attenzione mediatica e «bellica» si sia spostato a est, infatti, a Kiev proseguono le operazioni di «pressione» dei gruppi neonazisti che inscenano ogni giorno presidi e manifestazioni per chiedere una posizione più dura da parte dell’esecutivo.

E nella mattinata di ieri è intervenuto anche il presidente russo Putin che ha tenuto la consueta conferenza stampa annuale – la «linea diretta» – trasmessa in diretta televisiva. L’argomento più caldo è stato quello relativo alla crisi ucraina, con domande giunte poco dopo l’annuncio di Tymoshenko, che ha chiesto «lo stato d’emergenza» per le regioni orientali.

Putin ha dedicato molto del suo tempo a spiegare la propria visione e quella della Russia sui fatti ucraini, sostenendo che «le autorità ucraine stanno portando il paese verso l’abisso» e negando completamente l’utilizzo di forze russe nell’Ucraina dell’Est («niente reparti militari, niente servizi speciali, niente istruttori, sono tutti cittadini locali». «Sciocchezze», le voci al riguardo, anche se Putin ha poi confermato la presenza dei militari russi in Crimea, poco prima del referendum che avrebbe sancito l’annessione della penisola alla Federazione russa.
La Russia – ha specificato – non ha mai pianificato un’azione militare ed un’annessione della Crimea ma ha agito per difendere la comunità russa locale da «minacce concrete e tangibili».

La Russia «non aveva pianificato l’annessione e le operazioni militari in Crimea – ha affermato il presidente russo – ed era pronta a costruire relazioni sulla base delle realtà geopolitiche. Ma il rischio era che le minacce contro i russi ed i russofoni erano concrete e tangibili. Questo ha portato il popolo della Crimea a pensare al futuro e chiedere aiuto alla Russia ed è questo che ci ha guidato».

Sapendo poi quale sarebbe stato l’atteggiamento russo a Ginevra, Putin ha lasciato decisamente aperta la porta alla possibilità di arrivare ad un accordo attraverso la diplomazia, quando ha affermato: «Sono sicuro che arriveremo ad una comprensione reciproca con l’Ucraina, non possiamo fare a meno gli uni degli altri», aggiungendo una critica all’ex presidente ucraino Viktor Yanukovych per aver lasciato il paese.

Del resto a Putin, che più volte ha reso nota la propria volontà di non voler intervenire militarmente a est, quanto assicurarsi una riforma costituzionale capace di tramutare l’Ucraina in uno Stato federale, interessa soprattutto la questione più propagandistica, ovvero «garantire i diritti della gente che vive nel sud-est del Paese».

Ed è questo il punto forse più critico anche dell’accordo di Ginevra. Nonostante la roadmap condivisa non appare nero su bianco un passaggio che Mosca ritiene fondamentale, ovvero l’approvazione di una riforma costituzionale in Ucraina, che sia capace di sancire un mutamento nell’ordinamento istituzionale del paese, a favore di una forma di Stato federalista. Solo a quel punto, almeno nelle intenzioni di Putin, si potranno tenere le elezioni presidenziali, previste ad ora il 25 maggio. L’obiezione russa è chiara: se si va a votare ora, come reagiranno le regioni orientali che hanno ampiamente dimostrato di non riconoscersi nel governo di Kiev, scaturito dal golpe di Majdan?

Nel frattempo Obama ha annunciato l’invio di «aiuti militari non letali» al governo ad interim di Kiev, dimostrando come tutte le forze in campo, per quanto cerchino di rassicurare la comunità internazionale, non si fidano – per niente – l’una dell’altra.