La strategia russa in Siria si ripete: Mosca si infila nei buchi lasciati dagli Stati uniti e gestisce vecchi e nuovi alleati. È accaduto in passato, con l’intervento militare al fianco di Assad, Hezbollah e Iran e succede ora con i curdi.

A pochi giorni dall’annuncio del Dipartimento di Stato Usa di ritirare gli aiuti militari alle Ypg e alle Forze Democratiche Siriane, la Russia si fa avanti: l’operazione curda intorno a Deir Ezzor, sulla riva est dell’Eufrate, è sostenuta dalle forze russe con «sostegno aereo e logistico e coordinamento sul terreno», fanno sapere le Ypg.

Ieri la ripresa di un villaggio del distretto è stata annunciata dalle unità di difesa curde alla presenza del generale Poplavsky. Mosca conferma l’impegno comune contro lo Stato Islamico: «L’azione delle unità popolari contro i terroristi di Daesh – ha detto Poplavsky – è supportata dagli aerei da guerra russi.

Tutte le azioni sulla riva est dell’Eufrate sono coordinate con il quartier generale dell’esercito russo basato a Hmeymim». Cooperare con i russi significa, indirettamente, cooperare con il governo di Damasco che ad ottobre aveva paventato un riconoscimento futuro dell’autonomia curda.

Un sogno che si avvera? Non proprio. Tutto, va sottolineato, avviene sulla sponda orientale dell’Eufrate. Quella ovest è «off limits». O almeno lo è per la Turchia che ha posto l’attraversamento del fiume da parte delle Ypg come linea rossa invalicabile perché permetterebbe a Rojava di darsi continuità, unendo il cantone occidentale di Afrin con quelli di Kobane e Jazira.

Difficilmente, viene da pensare, i russi varcheranno quella linea rossa, visto il ruolo di Ankara sia al tavolo negoziale kazako di Astana che sul campo di battaglia (le truppe turche sono fisicamente presenti nel nord della Siria).

I curdi guardano comunque alla Russia, dopo l’atteso passo indietro statunitense sperando che la loro voce sia portata da Mosca al tavolo del dialogo da cui la Turchia è finora sempre riuscita ad escluderli.