Si terrà con ogni probabilità il 4 aprile a Istanbul il summit sulla Siria dei leader dei tre Paesi garanti del processo di Astana: Russia, Turchia e Iran. Un appuntamento atteso di fronte alla crescente gravità della situazione. Ma il presidente turco Erdogan da un lato recita il ruolo di pacificatore e dall’altro è parte attiva del conflitto. Parlando a un incontro di deputati del suo partito ieri il capo dello Stato turco ha maledetto la risoluzione 2401 con cui il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha proclamato una tregua di 30 giorni su tutto il territorio della Siria, poiché non sarebbe rispettata dal presidente siriano Bashar Assad. Damasco replica che la risoluzione non vieta attacchi contro i jihadisti dell’Isis e i qaedisti del Fronte an Nusra che occupano la Ghouta orientale. In ogni caso anche Turchia prosegue le sue azioni militari in Siria poichè, afferma, dalla tregua sono esclusi quelli che definisce i “terroristi” delle Unità di protezione del popolo (Ypg) schierate a difesa della roccaforte curda di Afrin.

Sharran, 13 chilometri a nord-est di Afrin, ed alcuni villaggi vicini sono stati ieri gli ultimi centri abitati a cadere nelle mani dei turchi e combattimenti violenti continuano nei dintorni di Raju. La stessa Afrin è finita di nuovo sotto il fuoco dell’artiglieria di Ankara con decine di colpi che hanno provocato decine di feriti mentre l’aviazione ha bombardato Jandairis, una città di particolare rilevanza strategica. La conquista di Jandairis, dice Erdogan, aprirà la strada all’assedio di Afrin al quale prenderanno parte anche i mercenari dell’Esercito libero siriano finanziati e armati da Ankara. I combattenti delle Ypg però resistono e attendono l’arrivo di 1.700 membri delle Forze democratiche siriane (arabo-curde create dagli Stati Uniti). Sono almeno 41 i soldati turchi e 159 mercenari morti nell’offensiva contro Afrin che, sostiene Ankara, avrebbe ucciso o ferito 2.872 “terroristi”.

Secondo il Washington Post l’Amministrazione Trump sta valutando un nuovo attacco contro la Siria come risposta alle notizie sul presunto uso di gas cloro da parte delle forze armate di Damasco. L’opposizione siriana denuncia altri 19 civili morti (sarebbero 800 dal 18 febbraio) nei raid aerei governativi ma nel frattempo nessuno riesce a lasciare l’area, pare per le minacce dei jihadisti, malgrado l’apertura di un corridoio umanitario su iniziativa della Russia. Mosca ha anche garantito l’immunità ai miliziani che lasceranno la zona con le loro famiglie. L’Onu intanto comunica di avere sospeso la distribuzione degli aiuti alimentari alla popolazione a causa dei bombardamenti. Intanto erano saliti ieri sera a 39 i morti – 33 passeggeri e sei membri dell’equipaggio – dello schianto di un aereo da trasporto russo in Siria. Le vittime erano tutti militari.