Il silenzio di Putin, che prosegue come se nulla fosse i suoi incontri istituzionali, la dice lunga sui dubbi che tormentano il Cremlino in queste ore. Anche perché a Mosca un attacco americano contro Assad è ormai dato per certo.

SERGEY LAVROV ieri è volato a New York e ha presentato all’Onu una risoluzione in cui si dichiara «le investigazioni già iniziate dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche dimostrano l’impossibilità che ci sia stato un attacco chimico a Duma». La risoluzione della Federazione russa sostiene che se non si giungerà a riconoscere «questa semplice verità ci si troverebbe di fronte a un altro caso di russofobia».

La Russia ha anche definito fake le presunte foto di vittime di un attacco chimico nella città siriana di Duma. «Tutte le foto e i video distribuiti nei social network con presunte vittime di attacchi chimici non sono altro che falsi, un tentativo di mettere la parola fine alla tregua raggiunta», ha dichiarato il capo del Centro russo per la riconciliazione dei partiti in guerra in Siria, il General maggiore Yurii Yevtushenko.

Ma si tratta essenzialmente di schermaglie formali. Putin è convinto infatti che dietro quella che ritiene una montatura ci sia il tentativo di Trump di far saltare il banco in Siria e archiviare i Protocolli di Astana, ovvero il tentativo di giungere a una sistemazione dell’area attraverso un patto Russia-Turchia-Iran.

Per questo ha mandato avanti Vladimir Shamanov, numero due di Russia Unita che ha tuonato: «La politica dei due pesi e delle due misure è giunta al capolinea. Chi si prenderà la responsabilità di un attacco a fronte di una pura provocazione anti-siriana sappia che da parte russa non si esclude nessuna soluzione» né quella delle ritorsioni diplomatiche né quella militare. Nezavisimaya Gazeta però è convinta che «la reazione militare non è all’ordine del giorno» perché in tal caso la Russia incrinerebbe i rapporti con Erdogan, l’unico stabile alleato nella regione.

L’OPINIONE PUBBLICA RUSSA osserva con una certa freddezza l’evoluzione della situazione in Medio Oriente. Questa mattina molti russi si sono messi in coda davanti ai cambiavalute per acquistare dollari e euro (giunti rispettivamente a 64 e 79 contro il rublo) dopo la crisi finanziaria che ha portato la borsa di Mosca a bruciare in due giorni oltre 17 miliardi di dollari.
Ieri, i titoli crollati lunedì, sono rimbalzati di un 5% anche perché la debolezza del rublo rendeva particolarmente appetibile l’acquisto di titoli petroliferi per gli investitori internazionali. Continua invece il profondo rosso per Sberbank, la più grande banca statale russa, che in due giorni è crollata del 17%.

SULLE MISURE DA ASSUMERE per frenare la crisi finanziaria il governo appare confuso. Anche ieri si sono rincorse le ipotesi più fantasiose. Lo stesso vale per le ritorsioni: si è parlato di embargo anti-Usa dell’export di titanio e dei motori per missili, ma poi il ministero dell’economia ha rimandato ogni decisione.