“Brevi momenti di emozione e di affettuosità”, ha riassunto François Hollande, per fronteggiare l’inquietudine in cui è caduta l’Europa dopo l’elezione di Donald Trump, convitato di pietra dell’incontro di ieri a Berlino. Il lungo addio di Obama all’Europa, dopo la tappa di Atene e il dialogo a due con Angela Merkel, la sua “più grande alleata” degli anni di presidenza, si è concluso con una “riunione informale” di alcune ore, allargata a Theresa May, François Hollande, Mariano Rajoy e Matteo Renzi. Poi Obama è partito per il Perù, per assistere al vertice Apec (Cooperazione economica Asia-Pacifico). La prossima volta che i sei paesi europei rappresentati ieri a Berlino si incontreranno con gli Usa sarà ad Amburgo il 7 e 8 luglio 2017 per il G20 (che riunisce 19 paesi più la Ue, per l’Europa ci sono i membri del G7 – Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia – mentre Spagna e Olanda sono state invitate agli ultimi summit pur non essendo membri). Tra i capi di stato e di governo presenti ieri solo Angela Merkel è sicura di essere presente, perché tutti gli altri sono seduti su poltrone che traballano, Hollande che teme di non potersi nemmeno ricandidare perché troppo impopolare, Renzi in difficoltà sul referendum, Rajoy e May con un destino legato al filo degli scossoni delle rispettive politiche interne.

Allora i cinque paesi europei del G20 avranno di fronte Trump. E Vladimir Putin. La Russia è stata ancora ieri al centro delle preoccupazioni. Obama ha voluto appoggiarsi sugli europei per mandare un messaggio al suo successore: una messa in guardia, perché venga mantenuta la cooperazione nell’ambito Nato, mentre i leader riuniti a Berlino hanno affermato “unanimi” che è necessario mantenere le sanzioni in corso contro la Russia, per fare pressione su Putin “legate all’Ucraina”, che devono “restare in vigore”, ha suggerito Obama, fino a quando non verranno messi in atto gli accordi di Minsk, sui quali, ha precisato Merkel, i passi avanti “sono invisibili” per il momento. La Russia di Putin crea inquietudine, non solo per la tensione in Ucraina. Da Berlino è stato lanciato un ennesimo appello per una “fine immediata” degli attacchi e dei bombardamenti su Aleppo, da parte del regime di Assad, della Russia con la collaborazione dell’Iran. “Siamo stati unanimi nella condanna delle atrocità che hanno luogo laggiù”, ha sottolineato Theresa May. Una preoccupazione tanto più attuale visto che Trump sembra voler subappaltare alla Russia la questione siriana. Un’ulteriore conferma di un probabile preoccupante deal con Mosca è venuta dalla nomina del generale Michael Flynn come consigliere alla sicurezza di Trump: Flynn è ben conosciuto da Putin, con cui intrattiene rapporti non chiari. Flynn si è distinto per non aver mai condannato la tortura del waterboarding nella lotta al terrorismo.

Il testamento di Berlino di Obama, lasciato agli europei che aveva peraltro trascurato all’inizio della presidenza, non è la resa di un mondo finito: è un sentito appello a combattere il “ripiego” verso il passato, che non è un rimedio alla mondializzazione, che ha fatto e sta facendo male a tanti, e che va corretta con la lotta alle ineguaglianze crescenti, che favoriscono le derive di estrema destra, di qui e di là dell’Atlantico. Persino la confusa Theresa May ha detto ieri che il Brexit dovrà essere un po’ “soft”, perché la Gran Bretagna avrà bisogno di lavorare “collettivamente” con gli altri. Obama ha insistito sull’importanza della cooperazione in seno alle istituzioni multilaterali, ivi compresa la Nato.

“Solo uniti siamo forti” ha sottolineato Merkel.