«I turchi hanno voluto leccare gli americani in un certo posto». Il presidente russo non deve amare le metafore. Meglio essere diretti nella guerra fredda con la Turchia, che paga da settimane l’abbattimento di un jet russo al confine con la Siria. In questo conflitto globale, travestito da guerra al terrorismo, le super potenze si confrontano a parole, poi si accordano, collaborano, e infine proseguono ognuno sulla strada degli interessi particolari.

Durante la conferenza stampa annuale, di fronte a 1.500 giornalisti, Putin è tornato a parlare del SU-24 colpito dall’aviazione di Ankara, un favore alla Casa Bianca e «un atto ostile» a cui la Russia non può che rispondere: «Non ci sono prospettive per una normalizzazione dei rapporti con i turchi. Dovremo andare avanti con altre sanzioni». Spara a zero il presidente, accusando l’Akp di aver islamizzato un paese laico come la Turchia («Ataturk si sta rivoltando nella tomba») e minacciandolo di ripagare con la stessa moneta un eventuale aereo turco in volo sul cielo siriano.

Ankara risponde per le rime con il presidente Erdogan che con una mano fa il pompiere e con l’altra l’incendiario. Mercoledì ha ribadito l’intenzione di sgonfiare le tensioni: «Vogliamo continuare la nostra relazione strategica con la Russia, abbiamo lavorato insieme negli ultimi 10-11 anni». Allo stesso tempo, però, saliva a 27 il numero di navi commerciali russe fermate dalle autorità turche tra Mar Mediterraneo e Mar Nero, contro le 8 turche detenute da quelle russe.

Nel mirino russo non c’è solo la Turchia, ma quello che la Turchia rappresenta: la Nato e l’alleanza con gli Stati uniti, considerati ufficiosamente i burattini dietro Ankara, seppure Putin finga di rimanere sul vago. «Non so se gli americani ne hanno bisogno o no. Forse c’erano accordi ad un certo livello, del tipo ‘abbattiamo un aereo russo e voi chiudete gli occhi’, in cambio di un ‘noi entriamo in Iraq e ne occupiamo qualche zona’».

Una raffica di parole che certo non raffredda gli animi, ma che fanno il gioco della Russia, intenzionata a giocarsi tutte le carte a disposizioni per imporre il proprio potere. Non è un caso che ieri il presidente russo abbia ripetuto di sostenere i piani Usa sul processo di pace siriano e detto di appoggiare la risoluzione che Washington intende presentare alle Nazioni Unite. La risoluzione sarà un lavoro congiunto e riguarderà misure per bloccare i movimenti finanziari dello Stato Islamico sul circuito internazionale, tra cui strumenti a disposizione degli Stati per perseguire individui sospettati di sostenere economicamente il sedicente califfato.

Putin ha però sottolineato ancora una volta le differenze di vedute che tra Cremlino e Casa Bianca sul destino del presidente Assad: la Siria, dice, ha bisogno di una nuova costituzione e di elezioni che lascino spazio decisionale al popolo siriano. Per questo, ha concluso, il sostegno militare russo a Damasco non cesserà. La posizione russa è stata ribadita mercoledì al segretario di Stato Usa Kerry, in visita a Mosca in vista dell’incontro sulla Siria previsto per oggi al Palazzo di Vetro.

Nei tentativi di collaborazione russo-americani si infilano i britannici che smuovono ulteriormente le acque ripresentando le critiche che da ottobre accompagnano l’operazione aerea russa in Siria: i jet di Mosca colpiscono le opposizioni moderate ad Aleppo e Homs, invece dell’Isis che ne approfitta per avanzare, ha detto ieri il segretario agli Esteri Hammond. Eppure da qualche giorno i russi hanno dichiarato di avvalersi del sostegno terrestre dell’Esercito Libero Siriano a cui sta fornendo armi e supporto aereo contro lo Stato Islamico.

Intanto ieri era Washington ad intervenire contro l’alleato turco, chiedendo ad Ankara di ritirare le truppe dalla base irachena di Bashiqa, alle porte di Mosul, per evitare di danneggiare la comune lotta agli islamisti. Tutti contro tutti nel caos mediorientale, completamente controproducente se l’effettivo obiettivo è sradicare lo Stato Islamico. Se invece l’obiettivo è scoperchiare il vaso di Pandora dei settarismi interni per controllare meglio il futuro Medio Oriente, allora l’Occidente ci sta riuscendo benissimo.