L’accelerazione imposta ieri da Vladimir Putin agli equilibri politici interni alla Russia non è forse una rivoluzione ma ci somiglia molto. Una rivoluzione dall’alto certo in cui persino l’uscita di scena di un personaggio come Dmitry Medvedev, per 15 anni numero 2 della Federazione e che dal 2008 al 2012 ha ricoperto persino la carica di presidente della repubblica, potrebbe essere vista come pilotata dal Cremlino ma che in realtà apre nuovi, inediti, scenari anche perché si dice che l’ex-delfino non l’abbia presa benissimo.

La riunione di ieri dell’Assemblea federale, un organo del tutto decorativo composto da molte centinaia di celebrità del mondo economico, culturale e religioso chiamato di tanto in tanto a fare da claque alle decisioni del presidente, questa volta non è stata di routine e ha aperto la strada alle dimissioni dell’interno gabinetto Medvedev. Al suo posto Putin ha subito posto Michail Mishustin un oscuro funzionario, fino ad oggi capo del servizio federale fiscale.

Le novità e le proposte fatte dal capo del Cremlino all’Assemblea federale non sono forse straordinarie ma sono sufficienti a produrre un terremoto in un apparato dello Stato ingessato e tenuto insieme da equilibri interni invisibili e delicati. Putin lo sa e difficilmente ha spostato le principali pedine dell’apparato.

Nel suo discorso Putin ha spinto l’acceleratore in due direzioni: la necessità di alcune significative modifiche costituzionali (che forse saranno sottoposte a referendum popolare) e un timido rilancio del welfare.

La prima modifica proposta dal capo della Federazione farà rizzare i capelli in occidente e preoccuperà i difensori dei diritti umani e delle minoranze. Putin intende far approvare disposizioni che stabiliscano la supremazia della Costituzione russa nello spazio giuridico della Federazione rispetto a quelle internazionali. La corte costituzionale, in tal modo, avrà il diritto di rifiutare di eseguire una decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo.

Ad esempio, nel 2016 la Corte costituzionale russa aveva ritenuto che la Corte europea avesse violato la sovranità del paese chiedendo alla Russia di concedere il diritto di voto ai prigionieri.

Per le alte cariche dello Stato Putin intende favorire i russi residenti nel paese: «Propongo di consolidare i requisiti per risiedere nel territorio per almeno 25 anni e l’assenza di un permesso di soggiorno in un altro Stato», una misura restrittiva che finirà per favorire i cinovniki, ovvero i funzionari di Stato. In questo quadro egli è disposto a eliminare il riferimento in Costituzione alla possibilità per un cittadino di non essere eletto alla presidenza per più di due volte di fila. Se così fosse Putin lascerebbe la presidenza, nel 2024. Allo stesso tempo però lo “Zar” vuole accrescere i poteri del parlamento. Si tratterebbe, nella complessa architettura immaginata da Putin, di equilibrare i rapporti tra presidenza, premier e Duma in modo che il ruolo di playmaker possa essere giocato dall’esterno ancora una volta da lui stesso. Perché all’uscita di scena di Putin non crede nessuno: da questo punto di vista sarà forse la ridefinizione del ruolo del Consiglio di Stato a permettergli di continuare a tirare le fila del paese dallo scranno di tale presidenza.

Allo stesso tempo Putin però ha voluto dare un segnale al paese profondo, poco interessato ai mutamenti istituzionali e alle prese con i più prosaici problemi di tirare a fine mese. Le promesse di crescita economica fatte da Putin nella campagna elettorale del 2018 sono evaporate e la Russia rischia di perdere ulteriori posizioni nella classifica dei paesi più progrediti (il suo pil pro capite a parità dei poteri d’acquisto resta inferiore a quello greco).

La priorità inequivocabile è il rilancio demografico: Putin ha annunciato l’adozione di una serie di misure volte a migliorare la situazione economica delle famiglie con bambini. D’ora in poi «già alla nascita del primogenito, la famiglia riceverà il diritto a un assegno complessivo di circa 9mila euro» ha promesso Putin. Ci saranno anche assegni, più ridotti, per famiglie povere con bambini tra i 3 e 7 anni e pasti gratuiti a scuola. Agli anziani verrà garantita l’indicizzazione della pensione che non sarà più una tantum. Tutte misure che difficilmente faranno invertire il calo demografico consecutivo degli ultimi due anni ma che potrebbero aiutare a gestire una fase di transizione degli assetti politici istituzionali che troveranno un primo banco di prova nelle elezioni legislative del 2021.