C’era attesa per tradizionale conferenza stampa di Vladimir Putin alla conclusione del summit dei Brics in Cina, perché inevitabilmente il capo del Cremlino sarebbe tornato sulla crisi coreana che Assange nei giorni scorsi ha definito la più pericolosa per la pace mondiale «quella dei missili a Cuba del 1962». E le aspettative non sono andate deluse.

Il presidente russo ha voluto subito spazzare via ogni dubbio sulla posizione russa affermando che il Cremlino «condanna fermamente i test atomici di Pyongyang e li considera una provocazione per tutta la comunità internazionale».

Parole apprezzate prima di tutto a Seul e Tokyo, due capitali che il presidente russo vede come fondamentali per riprendere il cammino di una trattativa globale sulla corsa al riarmo in Asia. Ma Putin non si è fermato qui. «I coreani hanno armi nucleari e noi sappiamo cosa hanno in mano» ha dichiarato.

Una «rivelazione» che non ha impressionato gli addetti ai lavori visto che l’Unione sovietica prima e la Russia poi, seppure a corrente alternata, hanno collaborato con la difesa nordcoreana. Si è trattato in realtà di un messaggio neppure tanto velato inviato sia a Kim Jong-un sia a Trump, sul ruolo che la Federazione Russa intende avere nella trattativa.

Per Putin il problema dell’armamento coreano non inizia e non finisce con la minaccia atomica, perché «la Corea del Nord possiede anche missili a media portata, un’artiglieria a lungo raggio e sistemi missilistici a lancio multiplo fino a 60 chilometri di gittata».

Per il presidente russo contro questi armamenti, oggi al mondo non esiste alcun mezzo di contrasto e «perfino le tecnologie anti-missile sono totalmente inutili». Anche per questo non esiste alternativa al negoziato.

Putin è convinto che anche in Corea del Nord la ragione prevarrà: «La storia dell’Iraq con il paese distrutto per la ricerca di armi di distruzione di massa e Saddam eliminato, ve lo garantisco, la conoscono e la ricordano bene anche a Pyongyang».

Un esempio che con l’Iraq ha voluto riprendere insieme alla Libia per far capire che il fatto che Pyongyang si doti di armi di distruzione di massa può essere interpretato come estrema ratio proprio per impedire un intervento.

Il presidente russo ha ripetuto che, in questo contesto, le sanzioni sono inefficaci, perché la dirigenza nordcoreana ridurrebbe il suo popolo a «mangiare erba» piuttosto che abbandonare oggi i suoi piani e ciò aggiungerebbe un aspetto umanitario a una vicenda già tragica di suo, «moltiplicando le sofferenze che già stanno provando milioni di persone in quel paese» ha commentato.

Comunque se le sanzioni verranno la Russia non ha di che temere visto che «fatturiamo quasi zero con la Corea del Nord. In questo trimestre abbiamo fornito a quel paese solo 40 mila tonnellate di prodotti petroliferi» ha ricordato Putin.

Sulle sanzioni il presidente della Federazione russa non si è trattenuto dal fare una battuta salace verso i funzionari dell’amministrazione Trump così qualificati da «confondere l’Austria con l’Australia, ma che ci mettono nella stessa lista della Corea del Nord e poi vanno dal loro presidente a chiedergli di accordarci per rafforzare le sanzioni».

Un giornalista a questo punto ha chiesto al leader russo quali siano i rapporti personali con Trump e Putin, ha proseguito per un attimo sul burlesque: «Non mi offende il suo comportamento, non siamo marito e moglie. Ognuno difende i propri interessi. Ma dobbiamo trovare dei compromessi nell’interesse non solo dei nostri popoli ma di molti altri».

Chiuso il lungo capitolo coreano, Putin ha affrontato la crisi diplomatica con gli Usa affermando di aver dato mandato ai propri avvocati americani di procedere a una causa legale ordinaria per le violazioni contro i consolati russi a San Francisco e Washington dei giorni scorsi.

Ma non ha escluso neppure ulteriori sanzioni: «Gli Stati unitisi ricordino a questo punto che hanno ancora 155 funzionari in più sul nostro suolo. Nei prossimi giorni mi riservo di decidere il loro futuro» ha ammonito.

Anche sull’Ucraina Mosca riprende l’iniziativa e non lascia che il «formato Normandia» si impantani definitivamente aprendo la strada ai falchi del Pentagono e della Rada Ucraina. E per questo ha deciso di utilizzare il perimetro del Palazzo di Vetro, tornato in qualche modo ad avere una propria visibilità nelle ultime settimane.

Putin nella conferenza stampa ha dichiarato di aver dato mandato ai rappresentanti russi al Consiglio di Sicurezza dell’Onu di proporre una risoluzione che preveda l’invio nel Donbass di «una forze di pace che garantisca la sicurezza della missione Osce, la quale gioverebbe alla soluzione dei problemi del sud-est ucraino».

A questa apertura Putin però ha aggiunto una nota indispettita sulla recente fornitura di armi Usa al governo Poroshenko di Kiev «che non aiuta la soluzione del conflitto», che invece«potrà avvenire solo il coinvolgimento diretto nelle trattative dei rappresentanti repubbliche auto-proclamate del Donbass», ha concluso.