Sullo sfondo di una situazione interna e internazionale non certo tra le più tranquille, il presidente russo Vladimir Putin ha presentato ieri al Cremlino il suo undicesimo messaggio annuale all’Assemblea della Federazione.

Caduta del prezzo del petrolio (una delle principali voci d’entrata russe), inflazione e svalutazione del rublo che al momento sembrano senza freni, all’interno; crescente accerchiamento da parte della Nato e crisi ucraina alle frontiere e sanzioni occidentali all’esterno. A cavallo, il recente arresto del progetto del “Juzhnyj potok”, il gasdotto “South stream”.

Nei 70 minuti che Vladimir Vladimirovic ha dedicato al suo intervento, ha toccato per primo il tema della riunione della Crimea alla Russia, che «per il nostro paese, per il nostro popolo ha un carattere speciale», dato che nel Chersoneso taurico (Putin è ricorso alla denominazione così cara alla letteratura greca) «vivono le nostre genti e il territorio è così importante strategicamente». Dalla Crimea all’Ucraina e all’influenza Usa: «A volte non si sa quasi con chi sia meglio parlare: coi governi di alcuni Stati oppure direttamente coi loro patroni e sponsor americani. Nel caso dell’accordo di associazione dell’Ucraina con la Ue, ci è stato detto che non erano affari nostri». A proposito dell’Ucraina, proprio ieri Ria Novosti riportava dalla pagina Facebook dell’ufficio stampa delle operazioni nel Donbass che “lunedì e martedì scorsi 110 miliziani sono stati uccisi nella regione di Donetsk”; anche se è sempre difficile stabilire di quanto la millanteria superi l’immaginazione.

Sulle sanzioni, Putin ha detto che esse «non sono solo la reazione nervosa degli Stati uniti o dei loro alleati alla nostra posizione sugli avvenimenti e il colpo di stato in Ucraina. La politica di contenimento non è stata inventata ieri. Viene condotta da secoli contro il nostro paese. In breve, ogni volta che qualcuno pensa che la Russia sia diventata troppo forte». Da qui alla sicurezza internazionale: «Noi non intendiamo essere trascinati in una costosa corsa agli armamenti, ma garantiamo un’efficiente e sicura capacità di difesa nelle nuove condizioni. Nessuno riuscirà a raggiungere la superiorità militare sulla Russia».

All’interno, le attese liberalizzatrici non sono andate deluse, anche se ai giornalisti che chiedevano a Dmitrij Peskov se si potesse parlare di una nova Nep (la relativa libertà di commercio adottata nei primi anni ’20 da Lenin per risollevare il paese dopo la guerra civile), il portavoce presidenziale lo ha escluso. «Bisogna eliminare al massimo le restrizioni al business», ha detto Putin. E il corso del rublo tornava a salire. E Putin lanciava «un alleggerimento fiscale e una sua ‘vacanza’ di due anni per le nuove imprese». Il culmine con «la piena amnistia per i capitali che torneranno in Russia», accanto alla richiesta alla «Banca di Russia e al Governo di procedere a severe azioni per far passare la voglia agli speculatori di giocare con le fluttuazioni della valuta russa». Con un’ulteriore puntata sull’orgoglio nazionale: «dobbiamo eliminare la critica dipendenza da tecnologia e produzione industriale straniere».

Entusiaste le reazioni del mondo politico: da «una chiara espressione dell’idea nazionale, con la riaffermazione della sovranità e l’apertura alla collaborazione con tutti gli Stati», secondo lo speaker del Consiglio federale Valentina Matvienko, alla chiamata in causa di altri da parte del leader del PC Gennadij Zjuganov «speriamo che il segnale lanciato dal Presidente sia raccolto dal Governo».