Vicedirettore di Philosophie Magazine, studioso della cultura russa e delle nuove destre europee, Michel Eltchaninoff è autore di Dans la tête de Vladimir Poutine (Actes Sud, pp. 174, euro 7), un’indagine sull’ideologia che domina il Cremlino.

La rielezione di Putin era scontata, meno evidente definire che idee e riferimenti culturali guidano la sua politica.

Putin è un erede del sistema sovietico, ma solo nel senso che di quella esperienza vuole mantenere il patriottismo, il militarismo e il senso di superiorità da grande potenza. Inoltre, fin dal suo arrivo al potere nel 1999 ha cercato di riconciliare l’eredità dello zarismo e dell’Urss, presentate come due semplici fasi dell’eterna grandezza russa. Dopo le tragedie del Caucaso e la crisi ucraina, ha accentuato il proprio profilo conservatore, annunciando una «via russa», sempre più nazionalista, in materia politica sociale e culturale. In questo contesto sono divenuti frequenti i riferimenti all’ideologia eurasiatica sviluppatasi nell’Ottocento, ripresa dalla diaspora zarista dopo il 17 e in qualche raro settore «nazionalbolscevico» dell’Urss, che affermava che la Russia avrebbe preservato la propria identità solo guardando ad Est e definendo uno spazio geopolitico anti-occidentale sotto la guida di una leadership autoritaria.

Nei discorsi di Putin abbondano le citazioni, quali autori fanno parte del pantheon culturale del presidente?

Tra i più citati ci sono filosofi reazionari come Ivan Ilyin, anticomunista, sostenitore dello Zar, espulso dall’Urss nel 1992 poi fervente ammiratore di Franco e Salazar. Poi, si incontrano Kostantiv Leontiev e Nikolaj Berdjaev, anch’essi monarchichi e teorici slavofili cui si devono le basi dell’ideologia eurasiatica anche come risposta alle influenze egualitarie e rivoluzionarie provenienti dall’Europa. Infine c’è lo storico ed etnologo Lev Gumilev, scomparso nel 1992 e che lavorò a lungo al museo Ermitage, che riprese le teorie eurasiatiste in epoca sovietica.

Come definire perciò i contorni della «dottrina Putin»?

È lui stesso che ha tracciato nei suoi interventi le coordinate di questa sorta di rivoluzione conservatrice. Oltre ad un rinnovato nazionalismo, il terreno privilegiato è quello di una visione tradizionalista della società. Così, ad esempio, nel 2013, a Novgorod, ha criticato i paesi occidentali perché «dimenticano le loro radici cristiane e rifiutano i principi etici e l’identità tradizionale: nazionale, culturale, religiosa e perfino sessuale». Per lui, equiparare le famiglie eterosessuali a quelle omosessuali significa «mettere sullo stesso piano la fede in Dio e quella in Satana». Contro il relativismo dei valori, il masochismo democratico, la debolezza di fronte alle minoranze, l’arbitrio del politicamente corretto e l’immigrazione di massa, che hanno condotto l’Occidente verso la decandenza e il caos, Putin promette un’educazione morale fondata sui valori cristiani, il patriottismo e il rispetto delle gerarchie.

Quali figure intellettuali sostengono questa linea?

Non ci sono né un solo «ideologo» né un vero laboratorio culturale, ma la condivisione di un progetto. Prima di cadere in disgrazia, ha pesato molto la figura di Vladimir Yakunin, uomo d’affari dalle idee ultraconservatrici, fino al 2015 alla testa delle ferrovie russe e che ha favorito l’alleanza tra Putin e la Chiesa ortodossa. Altra personalità di rilievo è il regista Nikita Mikhalkov, al fianco di Putin nella campagna elettorale che sostiene il ritorno ai valori della «Russia bianca». C’è poi padre Tikhon Shevkunov, vicario del Patriarca di Mosca e consulente spirituale del presidente, che come coordinatore della commissione che indaga sulla morte dei Romanov nel 1918 ha adombrato l’ipotesi che si sia trattato di un «assassinio rituale» compiuto da ebrei. Infine, intellettuali di estrema destra come Aleksandr Dughin si fanno ascoltare al Cremlino. Studioso di Evola, vicino alla Nouvelle Droite come ad Alain Soral, è a Dughin che si deve il ritorno in auge dell’eurasiatismo, presentato come una difesa dall’«imperialismo dei valori occidentali», vale a dire il mercato ma anche la società aperta e i diritti dell’uomo.