[ACM_2]«L[/ACM_2]a Russia deve calcolare esattamente le potenziali minacce alla propria sicurezza militare. Al tempo stesso il paese non ha intenzione di farsi trascinare nella corsa agli armamenti. Recentemente, è stato deciso l’allargamento della Nato nell’Europa orientale. La crisi in Ucraina, provocata da alcuni nostri partner occidentali, viene ora utilizzata per rianimare quel blocco militare».

Così Vladimir Putin, intervenendo ieri alla riunione della Commissione federale per gli armamenti, ha esposto la posizione di Mosca in merito alla situazione nel sudest dell’Ucraina, su cui in giornata si era pronunciato Pëtr Poroshenko. «Gli accordi di Minsk del 5 settembre non prevedono né federalizzazione né alienazione di territorio ucraino», aveva detto Poroshenko: «il protocollo prevede il ripristino e la tutela della sovranità dell’Ucraina su tutto il Donbass, compresa quella parte attualmente controllata» dalle milizie. Al tempo stesso, il parlamento esaminerà, la prossima settimana, un progetto di legge per la concessione «di un regime temporaneo di autonomia locale ad alcune province delle regioni di Donetsk e Lugansk, che prevede un preciso status di tali province nel corpo dell’Ucraina».

Non è tardata la risposta delle milizie, le cui leadership insistono sui piani di separazione dall’Ucraina e di creazione di un proprio stato: il vice premier della Rp di Donetsk (in cui ci si appresta a varare una propria valuta), Andrej Purghin ha dichiarato a Interfax che «Noi ci esprimiamo pienamente e interamente per l’indipendenza della nostra repubblica all’interno della regione di Donetsk». E il capo della Rp di Lugansk, Igor Plotnitskij, ha ribadito che «a Minsk non si è discusso della forma statale delle due Repubbliche e ciò può costituire il tema dei prossimi colloqui».

Plotnitskij ha tuttavia dichiarato che non vi potrà essere un ritorno al precedente status del Donbass, dato che i suoi abitanti «si sono espressi in modo univoco per l’indipendenza». Le dichiarazioni di Poroshenko erano state anticipate, martedì scorso, dal suo consigliere Jurij Lutsenko, secondo cui uno status speciale «all’interno dell’Ucraina» è previsto solamente per quel terzo del territorio del Donbass non controllato da Kiev. «La frontiera è nostra» aveva detto Lutsenko «e noi dobbiamo isolare questa zona speciale e metterla sotto controllo», anche con speciali postazioni. Sembra dunque trasformarsi in mania, quella dei dirigenti ucraini per i muri e le recinzioni: sempre ieri sarebbero iniziati i lavori per la «Muraglia» fortificata lungo i 1.500 km di confine con la Russia, anticipata dal premier Jatsenjuk lo scorso 3 settembre.

E Poroshenko ha annunciato una ridislocazione delle truppe nell’est del paese, insieme alla necessità di realizzare una edizione ucraina della Linea Mannerheim (una sorta di Maginot finlandese) del 1939. Nessuna meraviglia, quindi, che le milizie, per loro ammissione, siano pronte a parare una nuova offensiva, soprattutto, però, da parte dei battaglioni volontari che, secondo loro, non sono comunque controllati da Poroshenko. Sulla questione dello status di Novorossija, per il momento, le maggiori agenzie russe si limitano a riportare i termini essenziali del protocollo di Minsk dello scorso 5 settembre, secondo cui Kiev dovrà procedere a una decentralizzazione dei poteri e a elezioni anticipate nelle regioni di Donetsk e Lugansk, oltre all’impegno a non perseguire nessuno per le vicende del Donbass.

Anche il premier Dmitrij Medvedev, senza entrare nel merito della questione dello status delle due regioni, ha dichiarato che la pace in Ucraina è un’ipoteca su un normale sviluppo della Russia e che, mentre il ritorno della Crimea con la Russia è per sempre, Mosca conta sul mantenimento del «fragile equilibrio» raggiunto con gli accordi del 5 settembre.

Sul fronte delle sanzioni, mentre la cancelliera Merkel si esprimeva ieri al Bundestag per la pubblicazione del nuovo pacchetto di sanzioni contro Mosca, anche se «la porta per i colloqui rimane aperta», in serata Gazprom ha spiegato la riduzione dell’export – 20-24% – di gas verso la Polonia (con la conseguente riduzione del pompaggio da questa verso l’Ucraina) con la necessità di dover far ricorso alle riserve sotterranee. «L’approvvigionamento di gas viene effettuato verso tutte le direttrici, partendo dalle riserve per l’export» ha dichiarato il rappresentante di Gazprom Sergej Kuprijanov.