Il presidente russo, Vladimir Putin, ha dato il via libera alla candidatura del ministro della Difesa Abdel Fattah Sisi alla presidenza della Repubblica egiziana. In seguito alle rivolte del 1953, gli ufficiali liberi, guidati dall’allora presidente Gamal Abdel Nasser, ottennero il sostegno russo per l’esclusione definitiva dei politici dei Fratelli musulmani dopo due anni di manipolazioni e repressione. Anche in questo caso, dopo il referendum costituzionale del 14 gennaio scorso che ha approvato il testo voluto dai militari con una scarsa partecipazione e incoronato Sisi come nuovo possibile presidente egiziano, i militari egiziani cercano di consolidare l’asse con Mosca. Questo tentativo era evidente già in seguito al congelamento temporaneo disposto da Washington degli aiuti militari verso il Cairo dopo il colpo di Stato del 3 luglio 2013. Tuttavia, nonostante la ferma opposizione del presidente Barack Obama, il Congresso Usa ha ripristinato parte degli aiuti militari all’Egitto, per un valore di 1,3 miliardi di dollari.

«So che hai deciso di correre per la presidenza dell’Egitto. Ti auguro successo a nome mio e del popolo russo». Con queste parole, Putin ha espresso il suo sostegno per Sisi, in visita nella capitale russa con il ministro degli esteri Nabil Fahmi, per negoziare un accordo su forniture militari, pari a due miliardi di dollari, e il nuovo sostegno assicurato dall’esercito egiziano al regime di Bashar al Assad in Siria. Putin, nella conferenza stampa congiunta, ha auspicato che Egitto e Russia aumentino il livello di cooperazione dopo le elezioni.
L’appoggio incondizionato di Mosca è arrivato dopo i dubbi avanzati da alcuni generali in Egitto sull’opportunità che l’annunciata candidatura di Sisi alle presidenziali si concretizzi. Il tentativo della componente nasserista, che ha avuto la meglio dopo il pensionamento dei generali vicini ai Fratelli musulmani, nell’estate del 2012, è stata di isolare ogni forma di dissenso interno e di screditare Sami Annan, vice del silurato maresciallo Hussein Tantawi e capo dello Staff, ritratto dalla stampa indipendente come possibile rivale di Sisi all’interno dell’esercito.

Inoltre, il rappresentante dell’Unione europea per i diritti umani, Stavros Lambrinidis, ha denunciato di non aver potuto fare visita ad alcuni detenuti nella prigione di Zabal al Cairo, dopo aver incontrato il procuratore generale, Hisham Barakat. Il ministero dell’Interno egiziano aveva negato ogni responsabilità nell’accusa, avanzata dalle ong locali, di torture ai detenuti e promesso più ampie visite ai blogger e attivisti presenti nelle carceri egiziane. Alcune organizzazioni per i diritti umani hanno accusato le autorità di abusi e violazioni dei diritti umani in particolare nei confronti di alcuni detenuti, arrestati dopo le proteste del terzo anniversario delle rivolte del 2011, il 25 gennaio scorso. Il candidato alle presidenziali, il nasserista Hamdin Sabbahi ha chiesto il rilascio di tutti i detenuti politici. Indicazioni simili sono arrivate da parte del leader del partito per un Egitto forte, l’islamista moderato Moneim Abul Fotuh che ha duramente condannato le violenze delle ultime settimane. Anche il segretario di Stato Usa John Kerry ha chiesto in una lettera ufficiale al governo egiziano il rilascio dei giornalisti detenuti. Il riferimento è a dodici dipendenti del canale tv del Qatar Al Jazeera, arrestati dopo le accuse espresse dall’emittente, vicina ai Fratelli musulmani, sulle violenze perpetrate dall’esercito dopo la dichiarazione della Fratellanza come movimento terroristico il 24 dicembre scorso.