L’[/ACM_2]esercito di Kiev è schierato intorno a Donetsk e Lugansk, ultime sacche della ribellione filorussa. Le due città potrebbero cadere, con un blocco prolungato o un attacco in piena regola. Ma c’è anche la possibilità che si negozi una tregua, sollecitata dall’asse franco-tedesco. Il grande paradosso, in questa situazione delicatissima, è che Putin, l’uomo da cui tutti s’attendono una mossa, tace. Nessuno sa cos’abbia in mente. In compenso l’inquilino del Cremlino ha le idee chiare su South Stream, il gasdotto che nei prossimi anni, passando dal fondale del Mar Nero, risalendo i Balcani e terminando la corsa alle porte di Vienna, rifornirà l’Europa di gas siberiano. Negli ultimi giorni Mosca ha azionato le sue leve diplomatiche per ridare pieno slancio al progetto, frenato dalla recente sospensione dei lavori nel segmento bulgaro, imposta a Sofia dalla commissione europea. Al di là delle motivazioni tecniche c’è l’impressione che Bruxelles, assecondata da Washington, abbia calato una carta politica con cui condizionare Mosca sull’Ucraina.

South Stream è un progetto targato Gazprom. Prevede nel ramo offshore la partecipazione di colossi europei del calibro di Eni, della francese Edf e della tedesca Wintershall. L’obiettivo è fare a meno dell’Ucraina, storica cinghia di trasmissione tra produttore russo e consumatore europeo, minata tuttavia dall’instabilità politica, emersa in modo più prepotente che mai in questi ultimi mesi.

Non è da escludere che la soluzione alla crisi ucraina passi proprio dal nodo South Stream. In attesa di capire se andrà davvero così la certezza è che il Cremlino – come detto – ha messo in fila sul fronte energetico una serie di risoluti scatti in avanti. L’ultimo ieri a Mosca, dove era in visita Federica Mogherini (prima era stata a Kiev). Il ministro degli esteri ha ribadito che South Stream, dal punto di vista italiano, è strategico. Questione già messa in risalto da Matteo Renzi, che il mese scorso aveva coordinato l’invio, alla commissione europea, di una lettera firmata dai governi dei paesi attraversati dai tubi russi, con cui si manifestava l’intenzione di portare avanti il gasdotto, essenziale a livello di fabbisogno. Priorità condivisa anche da tedeschi e francesi.

Si tratta, alla stregua dell’Italia, di difendere le loro quote in South Stream e di continuare a fare buoni affari con Mosca, evitando che la crisi ucraina li inzavorri. Prima delle rassicurazioni di Mogherini Mosca ha sistemato altri tasselli. Il 24 giugno Putin è stato a Vienna, dove ha firmato l’intesa che prevede la costruzione della porzione austriaca di South Stream. Martedì la Serbia ha concesso a Centrgaz, controllata di Gazprom, l’appalto per la costruzione delle condotte sul suo territorio.

Nello stesso giorno il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov, giunto in Slovenia, ha definito con il governo dimissionario di Ljubljana (si va alle urne domenica) i dettagli per stendere il gasdotto nell’ex repubblica jugoslava.

Lavrov è stato prima in Bulgaria, a cercare di sbloccare la situazione. A Sofia la vertenza South Stream si intreccia alla recente caduta del governo (elezioni anticipate il 5 ottobre) e alla grave crisi bancaria, tamponata con un intervento di Bruxelles, che nei giorni scorsi ha portato migliaia di persone a ritirare i risparmi da due grossi istituti di credito a capitale bulgaro.

Dalla sortita bulgara di Lavrov non è emersa alcuna novità, ma viene da pensare che i lavori ripartiranno. La gragnola di accordi siglati in questi giorni confermano che Mosca, su South Stream, non vanta infatti opposizioni, se non quella di Bruxelles. Dove a breve, però, si insedieranno nuovi commissari.