Sul finire del 2012 , tre membri del gruppo anarco-punk femminile Pussy Riot furono condannati a due anni di detenzione in un campo di lavoro, lontani l’uno dall’altro e soprattutto da Mosca. Una di loro sarà scarcerata dopo pochi mesi. La sentenza fu inappellabile: «teppismo motivato da odio religioso», queste furono le parole dell’accusa. Il processo e la condanna seguirono la più eclatante delle azioni di protesta del gruppo: l’irruzione nel febbraio sempre di due anni fa, ripresa da tutti i media del mondo grazie ad un video girato e montato dalle stesse «Pussy», nella Cattedrale di Cristo Salvatore di Mosca, il tempio della chiesa ortodossa russa. Ad essere arrestate un mese dopo furono Maria Alëchina e Nadezda Tolokonnikova che dapprima negarono la loro appartenenza alle «Pussy» – il gruppo ha sempre agito conservando il proprio anonimato – iniziando con clamore uno sciopero della fame. Qualche settimana dopo ci fu l’arresto di Ekaterina Samucevic. Nessuna di loro ha mai fatto nomi di altre persone coinvolte nella irriverente e protestataria performance. Mentre, l’ondata di sdegno montata dal loro caso fece il giro del pianeta e fu sostenuta dai personaggi più disparati: in patria dallo scacchista ex-campione del mondo Garry Kasparov fino alla pop-star Madonna che le ospitò ad un proprio concerto, tenuto proprio a Mosca, scatenando le ire di Putin. Nel dicembre dello scorso anno le due donne sono uscite in seguito ad un’amnistia collettiva. La loro posizione nei confronti di Vladimir Putin non è mai cambiata. Il film Pussy vs. Putin del collettivo Gogol’s Wives ha cercato di sciogliere nel modo più fedele possibile i nodi ideologici, politici e sociali nati intorno a Pussy Riot e ha seguito la punk-band in moltissime performance, nei luoghi più impensati e improvvisati: dalle prime proteste sui filobus della capitale moscovita fino alle invettive pronunciate dietro le sbarre. Il loro è stato un itinerario tortuoso e difficile. Poco delle Gogol’s Wives si conosce; il film ultimamente è passato alla Berlinale, domenica 13 è ospitato a Pordenone nell’edizione 2014 de «Le voci dell’inchiesta» alla presenza di Taisiya Krugovykh e Vasily Bogatov. Raggiunti, un po’ fortunosamente, abbiamo posto loro alcune domande, che potranno apparire anche elusive, ma che consentono di farsi un’idea dell’onda di protesta che pervade la Russia e sulla sua reale entità.
Qual è stata l’idea e come avete fatto a realizzare il film?
Il nostro non è solo un semplice documentario come tanti che circolano. Abbiamo filmato in condizioni e circostanze estreme e molto critiche. Abbiamo rischiato più volte di essere arrestati per questo non ci siamo preoccupati molto né del set né di come girare. Non avevamo il tempo di farlo. Abbiamo girato con due piccole videocamere e con queste siamo entrati direttamente al centro, nel cuore della tempesta scatenata dalle Pussy Riot, provando lungo tutto il cammino che ci è voluto per realizzare il film sofferenza per le violenze e i frequenti arresti.
La vostra intenzione è stata quella di documentare la nascita del movimento delle Pussy Riot oppure di certificare le loro azioni di protesta?
Con Pussy vs. Putin abbiamo cercato di muoverci attraverso le maglie del sistema politico russo e lo abbiamo fatto registrando sia le parole di sostegno ad esso sia quello di opposizione e indignazione morale. Dunque è vedere giusto che il film è il certificato di questo sistema politico, oggi, e di chi vi si oppone.
Chi sono le Gogol’s Wives? E qual è il loro rapporto con le Pussy Riot?
Siamo un gruppo formato da diverse persone totalmente ispirate da idee progressiste. Il nostro rapporto con Pussy Riot è come quello di un fan.
Qual è l’ideologia che oppone le Pussy Riot a Putin per la difesa della libertà del popolo russo?
Innanzitutto l’ideologia di Pussy Riot è la difesa del diritto naturale. Indirizzato soprattutto verso le minoranze oppresse come i gruppi Lgbt e poi verso le donne e chi è in prigione carcerato.
Secondo voi il popolo russo segue il grido delle Pussy Riot contro il governo e Putin?
La gente in Russia è vittima dei media e della televisione ed è totalmente in balia di tutti gli altri mezzi di propaganda. Tutto ciò li rende passivi verso ogni altro cosa.
Nel film le persone anziane non capiscono né la musica né le parole e le loro maschere, mentre i giovani sono divertiti dalle loro performance, dov’è la verità?
I giovani che amano le performance di Pussy Riot non danno retta e non diventeranno mai anziani.
Dopo il processo e la libertà concessa, pur controvoglia, da Putin cosa fanno ora le Pussy?
Due di loro, Maria Alëchina e Nadezda Tolokonnikova discutono come fare ad allargare e far conoscere il più possibile la loro causa, per liberare la Russia dal regime repressivo putiniano, includendo in questo la difesa dei diritti dei prigionieri attraverso un’Ong come Zona Prava. Il loro scopo è quello di dare protezione ai detenuti che vivono in condizioni simili a quelle dei gulag dove si lavora in fabbriche-prigione per 16 ore al giorno subendo percosse e periodi di privazione di cibo e denutrizione.
Cosa pensate della situazione in Ucraina? E qual è la vostra posizione e quella delle Pussy Riot?
Crediamo che ci si sia buttati in una situazione complicata e pessima, molto pericolosa per l’ordine mondiale moderno, sia per le relazioni con le nazioni alleate e amiche dell’Ucraina sia per la stessa Russia.
Il vostro documentario è stato visto solo nei festival, perchè?
È impossibile al momento far vedere il nostro film Russia sia nei festival che in tv. Così l’unica nostra possibilità di essere visti è quella di farlo circolare all’estero.