Mentre la vita sembra procedere normalmente per le strade, i palazzi di Tunisi cominciano a tremare dopo il terremoto scatenato dalle parole di Kais Saied domenica notte. Come ripete da tempo, il presidente tunisino che da lunedì governa a colpi di ordinanze intende mettere mano all’enorme dossier della corruzione.

Sul tavolo c’è un rapporto di 342 pagine della Corte dei conti che contiene i nomi di una buona parte dei deputati eletti nell’ottobre 2019, gli stessi a cui Saied ha tolto l’immunità parlamentare dopo aver congelato le attività del parlamento. Da allora le organizzazioni della società civile chiedono che la giustizia proceda con le indagini e sospenda il mandato di chi non è pulito, come non è mai successo né dopo le legislative del 2014 né dopo le municipali del 2018.

Mercoledì 28 luglio, il portavoce della procura generale Mohsen Dali ha comunicato l’apertura di un’inchiesta giudiziaria sui finanziamenti illeciti alle campagne elettorali di tre partiti: Ennahda, maggioritario in parlamento, Qalb Tounes, fondato dal magnate Nabil Karoui, e Aich Tounsi, un piccolo partito che conta un solo deputato all’Assemblea dei Rappresentanti del Popolo.

Ma questo annuncio – quello che ha fatto più scalpore soprattutto a causa delle accuse di finanziamenti provenienti dall’estero mosse nei confronti di Ennahda – non è l’unico. Mentre i lavori negli uffici della pubblica amministrazione e degli enti locali sono fermi su ordine del presidente, gli apparati della giustizia procedono a passo spedito: inchieste sono state aperte contro l’ex presidente dell’anticorruzione e altri tre deputati coinvolti in affari recenti.

La purga di Saied è appena cominciata. Su questa il presidente si giocherà parte della sua credibilità di fronte agli occhi attenti dell’opinione pubblica, che per ora appoggia lo stato d’eccezione in attesa di un programma più preciso e, soprattutto, di misure concrete in piena crisi sanitaria.

Così Saied ha creato mercoledì una cellula di crisi coordinata proprio dall’esercito per rispondere alla quarta ondata di Covid-19 e, a seguito di un incontro con il presidente dell’Unione tunisina dell’industria, del commercio e dell’artigianato, ha lanciato un appello a grossisti e negozianti perché abbassino i prezzi dei generi alimentari.

Anche in questo caso, Saied ha evocato l’arma della giustizia: «Chi specula sarà perseguito e punito. Bisogna sostenere le categorie più vulnerabili che subiscono la crisi da vari decenni», ha detto, impassibile, sfoggiando l’arabo classico che gli è valso i soprannomi di Robocop e professore. Le due misure sono state comunicate tramite la pagina Facebook della presidenza, che da giorni pubblica video e dichiarazioni del presidente a partire dalla sua sfilata su Avenue Bourguiba di domenica notte, che è piaciuta a quasi 110mila utenti.

Dopo il premier, il ministro della giustizia e quello della difesa – si attendono in questi giorni le nuove nomine – Saied ha licenziato 24 tra alti funzionari, governatori e sindaci. Tra questi, anche il direttore della televisione nazionale, sostituito dall’economista ed ex direttrice di un canale tv Awatef Dali dopo che mercoledì pomeriggio l’esercito ha vietato l’accesso agli ospiti invitati da Wataniya 1.

Nel frattempo, la crisi Covid torna in prima pagina dei giornali locali. Dopo il passo indietro del premier Hichem Mechichi, la tensione tra la presidenza e il partito di maggioranza Ennahda (52 deputati su 217) non si è tradotta in scontri per strada a parte qualche tensione di fronte al parlamento tra giovani militanti pro Saied e militanti pro Ennahda lunedì sera. Ennahda vuole nuove elezioni legislative e un dialogo nazionale, mentre chiede un ritorno «al normale funzionamento delle istituzioni democratiche».

Ma il partito è accusato dall’opinione pubblica non solo di corruzione, ma di compromettere da anni l’avanzamento del processo democratico tunisino rallentando la nomina della Corte costituzionale a cui oggi spetterebbe di sciogliere i nodi e limitare il potere concentrato nelle mani di Saied.