«Papà, tu sei uscito con molte ragazze prima di sposarti?». «Con qualcuna». «Era divertente?». «Più divertente che lavorare nella fattoria di tuo nonno».

Sembra un dialogo innocuo fra padre e figlio, in un momento di relax mentre i due sono a pesca. Ma non è proprio così: Steven, sedici anni, si sta macerando da tempo, ponendosi alcune domande in più di quelle che tartassano ogni mente di adolescente. Fra queste, ce n’è una che non lo lascia in pace e riguarda la sua identità sessuale. Come mai a lui piace ballare la square dance con la madre? E perché non si eccita davanti a foto di ragazze da copertina super sexy? Oltretutto, non ci tiene per niente a correre in macchina come un vero «macho»: lui è prudente, preferisce non schiantarsi e alle lezioni di guida rispetta il limite di velocità, sbeffeggiato dal genitore che gli preme la mano sul ginocchio per fargli spingere l’acceleratore.

C’è di più: Steven ha la sindrome del «disadattato», o meglio è proprio diverso dai coetanei. Sa pensare col suo cervello e non segue le mode (come la follia degli elastici dai colori differenti per riconoscersi tra fans di squadre o di gruppi musicali, che conquista i suoi compagni). È ironico e così originale da presentarsi all’appuntamento con la bella Bree in quell’ammasso di rottami che è il pick up di famiglia. Eppure, neanche stretto vicino a lei, nel buio del cinema, scocca la fatidica scintilla. E a complicare le cose ci si mette un romantico film con tematica gay.

Io no. O forse sì di David LaRochelle (Biancoenero, pp. 224, euro 14, tr. it. Antonio Soggia) è un libro spiritoso, un romanzo di formazione con una marcia in più: è politicamente scorrettissimo (cosa non scontata nell’America che lo pubblicò nel 2005) e anche serissimo, nonostante il tono: affronta l’angoscia dell’omofobia e la paura della perdita di sé nei meandri sconosciuti della vita.

Gay o non gay, la storia di Steven è trasversale all’adolescenza tutta, è universale e trans-culturale, a prescindere dall’orientamento sessuale del suo protagonista. Che in alcuni momenti diventa comico. Come quando, dopo il ballo del liceo su cui sua madre ha puntato per il fidanzamento con una certa Kelly, Steven è costretto a dire la verità: Kelly è un cane. Un gold retriever, non una bella e aspirante sposa per il futuro.