Bloccati una volta, ci riprovano. Prendendo una strada laterale ma ci riprovano, ignorando le vecchie norme e provando a scriverne di nuove. Com’è nel dna della finanza. A rimetterci potrebbero essere dieci milioni di utenti nel mondo. Ma non utenti qualsiasi: associazioni umanitarie, enti no profit, organizzazioni non governative. Chi prova a difendere gli ultimi, insomma.

Ci riprovano, dunque. Tentano ancora di “privatizzare” – e portare a profitto – tutto ciò che nella rete si organizza nei siti che terminano col suffisso “punto org” (.org). Chiunque abbia navigato anche solo un po’ sulle pagine Web, sa che quella sigla alle fine di un indirizzo, indica soprattutto il mondo della solidarietà. Un mondo che vent’anni fa – all’epoca delle infantili utopie sulla rete – poteva godere di piccole attenzioni.

Così, all’epoca, l’Icann – l’ente, prima americano e poi internazionale, che assegna i cosiddetti “domini di primo livello”: appunto i suffissi finali“.it”, “.eu”, “.com”, eccetera eccetera -; l’Icann, si diceva, decise di garantire condizioni particolari per i siti no profit. Al punto da istituire un registro particolare, il Pubblic Interest Registry, PIR, per tutelare le associazioni del settore: avrebbero pagato meno degli altri. Una sorta di tariffa “politica”, insomma. In più, il PIR avrebbe dovuto effettuare una supervisione per bloccare qualsiasi tentativo di censura.

Non è andata esattamente come molti speravano vent’anni fa, però quantomeno il registro che si occupa di assegnare i domini “punto org” è riuscito a restare fuori dalle tante manovre geopolitiche che hanno sempre accompagnato l’assegnazione degli indirizzi Web.

Questo fino al 2019. Quando, grazie alla denuncia di un gruppo di attivisti digitali, si è saputo che la società che gestiva il registro aveva venduto tutti i diritti ad un gruppo privato. Operazione semiclandestina, fatta sfruttando alcune ambiguità nelle norme istitutive. Operazione piratesca, perché concepita all’indomani di una “strana delibera” con la quale si sarebbero potute aumentare le tariffe dei domini “punto org”.

Appena deciso quest’aumento – che, vale la pena ricordarlo, avrebbe probabilmente costretto al silenzio dieci milioni di utenze sociali -, si è costituita una società di private equity, che ironicamente si chiama Ethos Capital, dietro la quale c’erano e ci sono alcuni miliardari: da Perot Holdings alla famiglia Romney, tutti sostenitori di Trump. In men che non si dica la private equity siglò il contratto di acquisto, forte anche del sostegno di un personaggio, mister Cehade, che fino a qualche tempo prima era stato, diciamo così, il capo assoluto dell’ente mondiale che assegna gli indirizzi, l’ex Ceo dell’Icann.

Si usano tempi al passato perché un’enorme mobilitazione internazionale riuscì all’ultimo istante a bloccare la svendita del registro “punto org” (ilmanifesto ne parlò qui). Obbligò l’Icann – che pure aveva avallato l’operazione – a tornare sui suoi passi e ad imporre la cancellazione del contratto.

Minaccia sventata per sempre? No, e siamo appunto a questi giorni. Un gruppo di attivisti (sempre loro, quelli di Elecronic Frontier Foundation) ha scoperto che gli stessi investitori, quelli di “Ethos Capital”, ci stanno riprovando. Non più con la strada diretta dell’acquisto del registro ma attraverso vie laterali. Anche un po’ tortuose. Che vanno spiegate.

La società di private equity sta infatti acquisendo il controllo azionario di un gruppo, anche questo dal nome simpatico: Donuts. È la società che da tempo ha ottenuto l’appalto per controllare e vendere una parte rilevante dei domini di primo livello. Stiamo parlando di un gigante del settore: decide vita e morte su 240 importantissimi suffissi, fra i quali “punto healthcare”, “punto news” e “punto university”, Basta questo per capire che rilevanza abbiano assunto le “sue” pagine Web nell’anno della pandemia. E che potere abbia acquisito.

Donuts è un nome grosso nel settore, dunque, ma anche molto, molto discusso. E temuto. Perché – pure questo in modo misterioso – è riuscita ad ottenere uno stranissimo contratto di appalto da parte dell’Icann, in base al quale la Donuts può sospendere i nomi di un dominio, come fosse un giudice. Può decidere a sua discrezione, per dirne una, che un ente non abbia più diritto alla desinenza che indica l’appartenenza all’assistenza sanitaria. Un potere di arbitrio che ha già utilizzato, seppur in un altro settore: pochi anni fa ha fatto un accordo con la Motion Picture Association per sospendere i siti che le major accusavano di violazione del copyright. Siti chiusi, cancellati, senza alcun procedimento giudiziario, né appello.

Le “voci” dicono molto di più, comunque, anche se non si hanno prove: raccontano che Donuts offra ai “titolari dei diritti” un pacchetto speciale. In cambio di soldi, di tanti dollari, si impegna ad escludere dai domini autorizzati, nomi che potrebbero creare problemi alle imprese. Per capire ed è solo un esempio, sia chiaro: se ti chiami CocaCola e non vuoi concorrenza, paghi e fai sparire dal Web qualsiasi sito sia vagamente concorrenziale, anche uno che si chiami semplicemente “bibitegassate.news”. Se ci si pensa, è la privatizzazione del linguaggio.

Ma c’è ancora di più e si ritorna al mondo no profit. La Donuts – sempre in quello strano contratto di appalto – ha acquisito anche “alcune competenze tecniche” sul registro punto org. Un affidamento lavori apparentemente innocuo, che però in questo settore significa molto. Significa tutto. Fare la manutenzione a dieci milioni di indirizzi significa di fatto controllarli, indirizzarli. Decidere per loro.

E comunque, sopra ogni altro elemento, c’è l’interessamento di “Ethos Capital” all’acquisto di Donuts. Va ricordato – come si seppe all’epoca – che chi aveva organizzato la scalata al registro no profit, aveva spiegato agli investitori che l’operazione avrebbe portato profitti enormi, giganteschi, garantiti anche dalla loro “capacità di modificare le regole”. Probabilmente potendo contare su appoggi rilevanti.

Ci riprovano, allora. Convinti che con l’acquisizione di Donuts possono arrivare alla definitiva privatizzazione del registro punto org. E un primo passo l’hanno compiuto, ottenendo il via libera dalle autorità competenti al controllo della società.

Inutile spiegare chi ci rimetterebbe. Per prime, le associazioni. Costrette a pagare di più o a perdere i loro siti, i loro database. L’archivio delle loro attività. I loro contatti. Ma – come spiega chi si batte per impedirlo – ci rimetterebbe anche la democrazia. Perché vent’anni fa, si decise che chi controllava questo pezzo di vita digitale mai e poi mai avrebbe dovuto cedere di fronte alle pressioni di governi per le censure. Ed è così che nel mondo punto org è cresciuta una rete di dissidenti. Con “Ethos Capital” tutto questo – è facile intuire – non sarebbe più garantito.

Resta un ultimo passaggio. L’Icann – il controllore mondiale di domini – dovrà dire l’ultima parola sull’operazione. I precedenti, fra il distratto ed il co-responsabile, non fanno ben sperare. Ed allora, anche stavolta, l’ultima speranza è affidata solo alla mobilitazione internazionale.