Una storica battaglia dei sindacati – l’internalizzazione dei lavoratori delle pulizie e ausiliari nelle scuole statali – si sta trasformando in una beffa. La legge di bilancio dell’anno scorso ha previsto che dal 1° gennaio 2020 i 11.263 lavoratori ora in appalto saranno assunti dallo stato. Un segnale in totale controtendenza rispetto alle esternalizzazioni imperanti da decenni nel pubblico. Tutto bene? Non proprio. Perché gli operatori che ad oggi lavorano negli appalti definiti dalla Consip per i circa 30mila plessi statali lungo la penisola sono molti di più.

IL NUMERO PRECISO SI DESUME dalla somma delle 48 procedure di licenziamento collettivo che le imprese hanno presentato in fotocopia – arricchendo un unico consulente del lavoro – in vista della scadenza del primo gennaio: gli addetti alle dipendenze, sempre che siano tutti dichiarati, sono 16.232. Pertanto ben 4.969 lavoratori sarebbero in esubero.

Anni di battaglie, di scioperi – l’ultimo, riuscitissimo, il 29 ottobre – per la dignità del lavoro si trasformerebbero in una guerra tra poveri tra chi, dopo anni di precariato, è dentro e chi, ad un passo dalla meta della stabilizzazione, rimarrebbe fuori.

Ieri a Montecitorio le imprese hanno contestato alla radice il processo di internazionalizzazione. «Chiediamo al più presto che il governo convochi le parti datoriali: siamo pronti a trovare una soluzione ed evitare un salto nel buio ai lavoratori e loro famiglie. Fermare gli appalti nelle scuole è anacronistico, dannoso per le imprese, per il mondo scolastico e per i lavoratori», dichiarano i vertici di Anip-Confindustria, Legacoop Produzione e Servizi, Confcooperative Lavoro e Servizi.

FABRIZIO BOLZONI, DIRETTORE di Legacoop Produzione e Servizi sottolinea: «Consideriamo un pesante arretramento l’indirizzo assunto dal governo rispetto ad una modalità, consolidata da decenni, che ha consentito recuperi di efficienza. Vanno sostenuti percorsi di “corretta esternalizzazione”, a tutela di lavoratori e aziende che rappresentano un comparto rilevante».

UNA VISIONE CONTESTATA dai sindacati. Che ricordano i casi del Lotto 5 della Campania con l’impresa Manital – fino a poco tempo fa iscritta alla Anip-Confindustria – che da luglio non paga circa 3.500 lavoratori, e del Lotto 5 di Frosinone e Latina con l’azienda Ma.Ca. che per anni non ha pagato e sostituito 700 lavoratori, prima che il Miur sospendesse l’appalto.

«Non siamo contro le imprese che si sono comportate bene – esordisce Cinzia Bernardini, segretaria nazionale della Filcams con delega al settore – ma per noi il processo di internalizzazione è una vittoria storica e importantissima. Da tempo avevamo avvertito il Miur che i conti non tornavano e che si rischiavano 5 mila esuberi: servono risposte per tutte le persone. Il governo ha sottovalutato il problema della platea di riferimento e ora è in ritardo: serve che sia la presidenza del consiglio a farsene carico, il ministero dell’istruzione da solo non può risolverlo».

IL BANDO DI ASSUNZIONE RISCHIA di avere effetti paradossali. Il requisito richiesto di dieci anni di servizio porta ad una sproporzione tra il Sud dove ci sono troppi lavoratori rispetto ai posti disponibili, rispetto al Nord dove molti lavoratori non hanno abbastanza anzianità. «La situazione del Sud è figlia del fatto che gran parte dei lavoratori erano ex Lsu (lavori socialmente utili) e che si sono attaccati a questa mansione perché non hanno mai trovato altro, mentre al Nord si tratta di precari che hanno cambiato lavoro». Il bando inizialmente era regionale e avrebbe consentito un po’ di mobilita, ma è stato trasformato in provinciale rendendo rigida la situazione.

Anche sugli effetti finanziari della norma, imprese, governo e sindacati la pensano diversamente. Le imprese sostengono che «non si delinea nessun risparmio della spesa pubblica»; il governo parla invece di 170 milioni di risparmi. «La verità è che i 170 milioni in realtà sono tagliati al progetto “Scuole belle” che avevamo utilizzato per dare più servizi e far lavorare più persone», conclude Bernardini.