Puskas smascherato. Visioni e allucinazioni, in quale ordine metterle sceglietelo voi. Questo Europeo del calcio ovunque passa anche per l’Ungheria e alla vigilia non sembrava trattarsi di una comparsa: Budapest scelta come sede del gruppo F e squadra qualificata alla fase finale, inserita nello stesso girone di Portogallo, Francia e Germania. Difficile alla vigilia immaginarne uno più complicato. Ancora più difficile pensare che l’Ungheria guidata da un commissario italiano, Marco Rossi, riesca a calcare la scena più di tre partite. E  forse è anche per questo che all’esordio non voleva mancare nessuno.

NASCE così la storia di Puskas mascherato. Ferenc Puskas, detto in gioventù il Colonnello, è stato uno dei più grandi calciatori del secolo scorso. Attaccante della grande Ungheria, vinse la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Helsinki, perse la finale dei Mondiali, in Svizzera, nel 1954, in quella notte che per i tedeschi dell’ovest diventerà il miracolo di Berna. Rese grande l’Honved e quando i carri armati sovietici invasero Budapest, nel 1959, lui era in trasferta all’estero, non tornò in Ungheria, andò a svernare nella Liguria di ponente, venne squalificato due anni per «diserzione», ingrassò venti chili e raggiunta quota 90 venne ingaggiato dal Real Madrid, creando il mito «uomo de panza, uno de sostanza» (ma su questo ultimo passaggio biografico si può andare cauti). Dimagrì una dozzina di chili, con il Real vinse praticamente tutto, giocò anche con la nazionale spagnola. Tornò in Ungheria, morì a Budapest il 17 novembre 2006.

LO STADIO di Budapest ora si chiama Puskas Arena e martedì era pieno al 100 per 100, la prima volta da quando è iniziata la pandemia, unico stadio di questo Europeo che è stato posticipato di un anno. Per vedere l’Ungheria beccarne tre dal Portogallo di Cristiano Ronaldo c’erano 61mila spettatori, senza nessun distanziamento, senza mascherine, come se il Covid non ci fosse. Bastava presentare all’ingresso dello stadio, lo stesso dove all’ingresso non hanno riconosciuto e fermato Cristiano Ronaldo, un certificato di immunità o un tampone molecolare con esito negativo fatto nelle 72 ore precedenti alla gara. E basterà anche per Ungheria-Francia in programma oggi alle 15, dove non mancherà Viktor Orbán, premier ungherese, ben definito «capobranco dei cosiddetti democratici illiberali che sono più illiberali che democratici». È stato ovviamente Orbán a pretendere (lo stadio) Puksas smascherato. L’uomo forte, quello de panza e de sostanza, non ha bisogno della mascherina. Così crede.

Orbán ha una vera passione per il calcio: a Felcsut, epicentro dell’orbanismo, 45 chilometri da Budapest, il leader è cresciuto e ora ha fatto costruire uno stadio chiamato Pancho Arena, in onore appunto di Pancho Puskas, soprannome che lo accompagnò quando l’ex colonnello fece faville in Spagna. Lo stadio di Falcust, ha 3.500 posti a sedere, Falcust ha 1600 abitanti.
Arroganza, ossessione, forza. «La prima volta che sono uscito dall’Ungheria è stato nel 1998, andai a Parigi ma solo per vedere la finale della Coppa del Mondo, quando la Francia sconfisse 3-0 il Brasile», ha raccontato con un certo orgoglio il leader. Perché la memoria (a intermittenza) è uno dei punti di forza dell’orbanismo. E ogni dittatore o autocrata sa che lo sport è dimostrazione di forza e dunque potere. Di forza se n’è vista poca nel 3-0 beccato dai campioni d’Europa del Portogallo. Oggi toccherà vedersela con i campioni del mondo in carica, i francesi. Mercoledì sera sarà la volta di Germania-Ungheria. Giù la maschera, questa oggi è l’Ungheria.