Carles Puigdemont, partito ieri per Copenaghen. è il candidato che il presidente del Parlament Roger Torrent proporrà di votare come futuro capo dell’esecutivo catalano nei prossimi giorni (entro il 30). La notizia era attesa, giacché formalmente i partiti che sulla carta conformano l’attuale maggioranza parlamentare hanno sempre dichiarato che l’ex president deposto sarebbe stato il loro candidato, e Torrent si è limitato a certificarlo dopo il giro di consultazioni di prammatica.

Ma la “normalità” istituzionale finisce qui, perché come tutti sanno il problema è che il presidente si è autoesiliato, così i quattro deputati eletti (ed ex ministri) riparati in Belgio, altri tre si trovano in carcere. Lo stesso Torrent ha definito la situazione “anomala” e ha chiesto a Rajoy (che non accetterà) di parlarne di persona per trovare una via d’uscita a una situazione che rischia di esplodergli per le mani. L’opposizione non vuole neppure sentir parlare di un’investitura non presenziale (come peraltro consigliato anche dai giuristi dello stesso Parlament), ma in realtà neppure Esquerra (partito in cui milita lo stesso Torrent) la vuole. I socialisti hanno già minacciato di ricorrere ancora una volta all’onnipotente Tribunale costituzionale per bloccare tutto. Ma anche se così non fosse, e l’ufficio di presidenza decidesse di autorizzare, forzando il regolamento, un’investitura telematica, Torrent sa bene che Puigdemont comunque non potrebbe essere eletto.

Anche ammesso (e non concesso) che i 4 deputati della Cup votassero a favore di Puigdemont, gli indipendentisti avrebbero solo 62 voti (65 se i tre incarcerati fossero nuovamente autorizzati a delegare il voto), l’opposizione ne ha 65. Non basterebbero a eleggere Puigdemont, perché stavolta i Comuni voterebbero contro (e non si asterrebbero come nel caso del voto per la presidenza della camera: in quel caso avrebbero causato l’automatica elezione di un deputato di Ciudadanos; in questo, il voto contrario impedisce l’elezione di Puigdemont). Se poi i deputati Cup si astenessero, ci vorrebbero i voti di tutti e 5 i deputati a Bruxelles, e finora solo uno di loro si è detto disposto a cedere il seggio per farlo occupare da qualcuno.

Ma la vera notizia di ieri è che la giustizia spagnola ha raggiunto inesplorate vette di ridicolo. Puigdemont ha volutamente provocato i giudici decidendo di assistere, con annunci forti e chiari alla stampa da giorni, a una conferenza in Danimarca. Il governo spagnolo (attenzione: il governo, non la magistratura) ha reagito nervosamente minacciando di riattivare il mandato di cattura europeo che il giudice aveva sospeso a dicembre per paura che il Belgio non gli permettesse di giudicare Puigdemont per i discutibili reati di sedizione e ribellione di cui è accusato (come i tre in carcere preventiva). La pubblica accusa ha fatto sapere, prima alla stampa che allo stesso magistrato, che avrebbe chiesto di “riaccendere” il mandato di cattura europeo quando Puigdemont fosse salito sull’aereo (ieri mattina). Alla fine, il giudice ha deciso, a malincuore, di non accettare la richiesta dei pm con per due motivi: per non dare a Puigdemont la scusa di farsi arrestare e quindi dargli la possibilità di delegare il voto in Parlamento (perché a quel punto sarebbe impossibilitato non per scelta ma per causa di forza maggiore), e perché non è sicuro di come funziona il sistema giudiziario danese che potrebbe di nuovo imporgli limitazioni sulle accuse nel caso di estradizione.

E così continua l’assurdo teatro di chi vuole governare come ologramma da Bruxelles e di una giustizia ostentatamente schiava di interessi di parte. E intanto nessuno spiega cosa dovrebbe fare il nuovo governo, né parla dei gravissimi processi per corruzione che vanno chiudendosi in queste settimane, sia contro il Pp che contro il partito di Puigdemont. E la saga continua.