Carles Puigdemont prende atto della realtà e getta la spugna. Con l’ennesimo messaggio «istituzionale» dal Belgio incorona il suo successore, rinunciando «in via provvisoria» a essere il candidato alla Generalitat catalana. Si tratta di Jordi Sánchez, il numero due della lista capeggiata da Puigdemont, Junts per Catalunya, ed ex presidente dell’associazione indipendentista Assemblea Nacional Catalana, che però ha il piccolo problema di essere in carcere.

 

puigdemont passante verticale

La situazione si è sbloccata dopo che il Parlament catalano, a un mese e mezzo dalla sua sessione costituzione, si è finalmente riunito ieri mattina. Ma non per investire un nuovo presidente della Generalitat, come normalmente accade, ma per approvare un documento «contentino» in cui si prende atto che esiste una maggioranza parlamentare che vorrebbe Puigdemont presidente, ma spianando la strada a un nuovo candidato, appunto Jordi Sánchez. Il presidente del Parlament Roger Torrent ora chiederà al giudice un permesso speciale per lui perché possa partecipare alla propria sessione di investitura.

Lo stallo in cui si trova la politica catalana risale a gennaio, quando Torrent, per evitare guai giudiziari, aveva rinviato sine die la seduta in cui doveva essere votato Puigdemont come capo dell’esecutivo catalano. Se c’è una cosa chiara in questa fase politica è che Esquerra republicana, partito di Torrent, stavolta non vuole far finire in carcere nessuno. Gli basta il suo segretario Oriol Junqueras, in gattabuia da fine ottobre. E così sono passate sei settimane di melina, di scaramucce fra gli alleati Esquerra e Junts per Catalunya. Questi ultimi con l’obiettivo di stabilire il principio che non c’è altro presidente che Puigdemont, e gli altri con l’obiettivo di formare un governo per uscire finalmente dall’incubo della gestione da Madrid dell’autonomia catalana. In tutto questo gli anticapitalisti della Cup hanno finito per essere più realista del re appoggiando Puigdemont presidente per arrivare alla repubblica.

Dopo molti litigi, e avendo bruciato molti nomi, si è giunti a un accordo. Puigdemont, in cambio della rinuncia, riceve un riconoscimento simbolico: sarà a capo del Consell per la República, una sorta di «governo virtuale» per studiare come arrivare al nuovo stato.

Le cose non sono state semplici. Fino all’ultimo momento la Cup ha cercato di imporre un emendamento per riconoscere che il 27 ottobre il Parlament aveva dichiarato la repubblica (cosa che è stata smentita dagli stessi imputati davanti al giudice); alla fine però, l’emendamento è scomparso. Nel documento approvato si parla di generiche richieste di cessazione di ingerenze da parte del governo spagnolo, di «repressione generalizzata», e di «volontà democratica» espressa nel referendum dell’1 ottobre per creare «uno stato autonomo sotto forma di repubblica». Molte parole – alcune delle quali i partiti unionisti e i legali della camera pensano infrangano il dettato del Costituzionale – ma l’impressione è che Torrent sia riuscito a mantenere l’equilibro fra la legalità da un lato e dall’altro la narrativa indipendentista rispetto all’obiettivo di raggiungere il «progetto di prosperità» della «Repubblica catalana», nelle parole della portavoce di Esquerra Marta Rovira.

Nessuno dei partiti dell’opposizione è invece riuscito a far approvare una mozione che sbloccasse il conto alla rovescia per le elezioni: senza il primo voto di investitura, non sono scattati i 60 giorni dopo i quali si celebrano le elezioni in assenza di un governo.