Carles Puigdemont ieri sera si è goduto un bagno di folla imprevisto. La sua passeggiata ad Alghero, dopo le vicissitudini giudiziarie, è diventata l’occasione per riattivare la sua immagine di eroe e vittima, un’immagine che si era andata smorzando in questi ultimi mesi di lontananza dalla centralità politica catalana. Ancora più dopo che Esquerra Republicana è riuscita nella storica impresa del sorpasso elettorale e ostenta per la prima dai tempi della Repubblica spagnola, negli anni 30, la presidenza della Generalitat.

NELLA CONFERENZA STAMPA di ieri Puigdemont ha sottolineato che la giustizia italiana, come quella degli altri paesi, si è comportata meglio con lui di quanto non abbia fatto quella spagnola.

Il partito dell’ex presidente catalano, che oggi, dopo diverse metamorfosi dovute, fra l’altro, a una serie di scandali e di finanziamenti illeciti, si chiama Junts per Catalunya, senza poter controllare le leve del potere, cerca di trovare il modo per ritrovare protagonismo politico.

LA FIGURA DI PUIGDEMONT per qualche tempo è riuscita a catalizzare i sogni indipendentisti, ma ora che le molte promesse incompiute e il cammino dello scontro frontale con il governo centrale non hanno portato ad alcun risultato concreto, con una certa fatica Esquerra è riuscita a imporre un approccio leggermente più pragmatico.

Per qualche misterioso motivo, Oriol Junqueras, leader di Esquerra, che ha affrontato un processo e diversi anni di prigione, e ora è stato indultato, fa molta più fatica a essere visto come un eroe. E nonostante questo, Pere Aragonés (numero due del partito) è ora president della Generalitat. Il governo catalano è, ancora, una coalizione fra Esquerra e Junts, ma Aragonés nelle ultime settimane ha preso in mano l’iniziativa politica ed è arrivato a fare un passo impensabile fino a qualche mese fa: dare un ultimatum ai soci di Junts, che hanno cercato in tutti i modi di far saltare il tavolo di negoziato con il governo spagnolo.

JUNTS VOLEVA IMPORRE personalità di partito simboliche, come i suoi indultati, invece che ministri del governo catalano, e Aragonés ha messo il veto. Con il risultato che Junts è fuori dal negoziato forse più importante di questi anni fra governo spagnolo e quello catalano. Nessuna altra regione spagnola, neppure Euskadi (i paesi baschi) ha trattative di questo livello con il governo centrale. Il Pp aveva sempre messo il veto, e ai socialisti è costato moltissimo (Podemos è sempre stato a favore) accettare di sedersi a trattare.

Non a caso infatti sia Aragonés, sia Sánchez ieri si sono sperticati in lodi del dialogo e hanno sottolineato entrambi a necessità di superare questo e tutti gli altri futuri ostacoli che i molti nemici del dialogo cercheranno di frapporre (la magistratura spagnola, la destra spagnola, quella catalana di Junts, gli indipendentisti più radicali, etc.). Se il futuro politico di Aragonés si basa sul successo di questa negoziazione, per Sánchez l’alleanza con Esquerra è ancora più importante: può sopravvivere senza i 5 voti al Congresso di Junts, ma senza i 15 voti di Esquerra è praticamente impossibile far passare la legge di bilancio. Che d’altra parte non è neppure stata accordata fra socialisti e Unidas Podemos: moltissimi punti sono ancora aperti, ma una volta trovata la quadra, il primo alleato con cui parlarne è proprio Esquerra. L’indulto deciso così faticosamente dal governo Sánchez a giugno ormai è lontanissimo, e forse non basterà più.

Quel che è certo è che il sospiro più grande venerdì, quando Puigdemont è stato liberato, lo ha fatto Sánchez. Subito dopo Aragonés, che poi si è subito precipitato sul primo ferry in direzione Alghero per andare ieri ad appoggiare l’ex presidente nel suo bagno di folla. Non sia mai che qualcuno pensi che Esquerra, in realtà, Puigdemont lo vorrebbe mantenere lontanissimo da Barcellona.