L’obiettivo per le elezioni dei tre partiti indipendentisti, Junts per Catalunya (guidato dall’ex president Carles Puigdemont), Esquerra Republicana (con a capo Oriol Junqueras) e la Cup (che presenta Carles Riera) è apparentemente lo stesso: l’indipendenza catalana. Ma gli anni di procés e le scottature dell’incendio hanno lasciato un segno profondo. Intanto perché quella che era una lista unica nel 2015 (Esquerra e la destra moderata del PdCat, oggi reincarnato in JxC) oggi vede i suoi principali protagonisti combattere l’un contro l’altro armati, uno dal carcere e l’altro dal Belgio. Nessuno ha spiegato i (veri) motivi di questo cambio di strategia.

JxC ha basato tutta la campagna sull’idea semplicistica di «riportare» il presidente «legittimo» alla Generalitat, mentre Esquerra chiaramente ambisce a guidare il prossimo governo con il proprio candidato (o candidata: nel caso Junqueras non potesse assumere la presidenza, probabilmente sarebbe la sua numero due, Marta Rovira).

 

rovira

Ma la campagna di Esquerra, pur centrata sulla difesa «dei prigionieri politici» e sull’indipendenza, ha avuto vari scossoni. All’inizio sembrava volersi rimangiare l’unilateralità, per poi invece difenderla; alcuni dei suoi ex consiglieri hanno ammesso in pubblico che in realtà le promesse «strutture di stato» non erano affatto pronte, che erano del tutto impreparati alla nascita di un nuovo stato, come pure ad affrontare l’ineluttabile reazione sproporzionata del governo di Madrid. Sembra siano stati presi alla sprovvista anche dalle prevedibili incarcerazioni. Ma tutto questo, e anche gli impressionanti scivoloni di Rovira in campagna (come quando ha denunciato che il governo spagnolo avrebbe minacciato morti e feriti, o ha fatto scena muta in un dibattito, non appena abbandonato il tema indipendenza, sui dati della disoccupazione) non hanno scalfito la fede dei loro elettori, che li premieranno come il primo dei partiti indipendentisti. In effetti, né JxC, né Erc hanno affrontato quasi nessun altro tema in campagna.

 

cup

Lo ha fatto invece la Cup, con l’abituale impostazione anticapitalista, piena di propositi in campo economico e sociale, ma esclusivamente nel contesto di una «nuova repubblica catalana». Senza considerare nessun altro scenario. Nel 2015, prima delle elezioni, sostenevano che senza una maggioranza di voti (e non solo di seggi, come poi avvenuto) gli indipendentisti non sarebbero stati legittimati a dichiarare l’indipendenza. Ma poi le cose sono andate diversamente: la Cup ha digerito il rospo di appoggiare un governo guidato da un moderato e finanziarie non proprio espansive pur di arrivare al fatidico referendum dell’1 ottobre e alla successiva pseudo-dichiarazione di indipendenza. Ora sono gli unici che esplicitamente rivendicano l’unilateralità.