La decisione dei giudici dello Schleswig Holstein su Carles Puigdemont a Madrid è caduta come una bomba atomica, sia sul governo, sia sulla Audiencia Nacional. L’ex president è uscito ieri mattina dal carcere di Neumünster dopo 12 giorni di detenzione e dopo aver pagato una cauzione di 75mila euro, interamente versata dall’Associazione nazionale catalana (Anc), che ha già pagato anche le altre cauzioni per tutti i leader indipendentisti grazie a un «fondo di solidarietà» predisposto all’uopo.

I giudici tedeschi non riscontrano nei fatti segnalati dai magistrati spagnoli la violenza necessaria per giustificare il reato analogo alla ribellione del codice penale tedesco. Per la verità, la violenza sarebbe necessaria anche secondo la norma spagnola, ma i giudici di Madrid sembrano avere una manica assai più larga nella definizione di «violenza». Mentre decideranno se estradarlo per l’altro reato, il peculato, per i costi dell’organizzazione del referendum del primo ottobre, Puigdemont sarà a piede libero, anche se non potrà abbandonare la Germania.

Facce lunghe nel governo spagnolo, vittima della propria strategia di affidare ai giudici la risoluzione di un conflitto politico. Ma soprattutto sono stati l’Audiencia nacional e il giudice istruttore Pablo Llarena a essere colpiti duramente dalla decisione: se anche Puigdemont verrà estradato, non potrà essere più giudicato per il reato più grave.

Siederà sul banco degli accusati assieme agli altri, che però potrebbero incorrere in condanne più gravi di quelle che potrebbero toccare a colui che Llarena identifica come il responsabile principale del piano «criminale».

Un nonsenso giuridico che mette in serio pericolo tutta l’impalcatura accusatoria e i motivi per cui sono in carcere preventiva gli altri ex ministri catalani. Sorprende che Llarena fosse così sicuro del fatto suo da non aver preso in considerazione quello che molti giuristi avevano previsto.

Sembra stia pensando di ricorrere al Tribunale di giustizia europeo del Lussemburgo contro i colleghi tedeschi – una strategia potenzialmente controproducente perché bloccherebbe fino alla decisione finale (fra molti mesi) sia il processo di estradizione di Puigdemont, sia quello degli altri ricercati in Scozia, Belgio e Svizzera. Intanto, per aggravare la figuraccia internazionale, un magistrato belga ha aperto delle indagini sulla geolocalizzazione non autorizzata della macchina di Puigdemont.

Per gli indipendentisti una chiara vittoria di immagine: i magistrati tedeschi confermano la tesi di essere perseguitati pretestuosamente dai giudici spagnoli. E rilanciano: dopo il monito dell’Onu alla Spagna per non aver permesso all’ex presidente dell’Anc Jordi Sánchez di uscire dal carcere per assistere alla propria sessione di investitura, hanno intenzione di riproporre il suo nome.

Non tanto per farlo eleggere – la Cup ha confermato che voterebbe solo Puigdemont, quindi mancano i voti – ma per poter rilanciare il caso di fronte a un previdibile nuovo rifiuto di Llarena a dargli il permesso di assistere alla seduta del Parlament, di cui Sánchez è deputato.

Il Partido Popular brancola nel buio. Nelle ultime settimane la strategia di Mariano Rajoy di lasciar cuocere nel loro brodo gli avversari senza mai prendere iniziative politiche gli si sta ritorcendo contro.

In Catalogna dove la situazione non fa che peggiorare, finita ormai sui tavoli delle cancellerie europee proprio come volevano gli indipendentisti, e tutto grazie all’ostinazione di Rajoy a non voler disinnescare la bomba quando era ancora possibile. E poi con il 155 ancora in vigore, cioè con la Catalogna sotto controllo di Madrid, il Partito nazionalista basco (Pnv) si rifiuta categoricamente di negoziare il proprio voto alla legge di bilancio del 2018 che il governo ha presentato ma non ha i numeri per approvare.

E infine perché continuano a esplodergli scandali: l’ultimo è quello della presidente della comunità di Madrid che con la connivenza di una università pubblica controllata dal Pp si è inventata di aver fatto un master. Davanti alla montagna di prove della falsità di quello che è andata sostenendo, sta per cadere una delle più promettenti leader regionali, Cristina Cifuentes.

Il convegno popolare di questo fine settimana a Siviglia che doveva servire per rilanciare il partito rischia di essere il suo funerale, a un anno dalle elezioni locali, che qui coincideranno con le europee.