I territori palestinesi occupati si trasformano in campi di battaglia. L’operazione “Brother’s keeper” lanciata dal governo Netanyahu non è servita a ritrovare i tre ragazzi israeliani scomparsi la scorsa settimana in Cisgiordania – rapiti da Hamas, sostiene Israele – ma si rivela poco alla volta un bagno di sangue. Ieri due palestinesi, Mustafa Aslan, 23 anni, e Mahmoud Dudeen, di appena 13 anni, sono stati uccisi rispettivamente nel campo profughi di Qalandiya e nel villaggio di Dura, alle porte della città di Hebron tenuta sotto pressione dall’esercito israeliano. In pochi giorni sono stati uccisi tre giovani palestinesi – la scorsa settimana era caduto sotto i colpi sparati dai soldati Ammar Arafat, 19 anni di Jalazon (Ramallah) – che protestavano contro le incursioni notturne delle forze di occupazione.

 

I cortei funebri tornano a percorrere le strade di città e campi palestinesi. Ieri a migliaia hanno partecipato, tra lacrime e rabbia, ai funerali delle ultime due vittime. Si contano anche numerosi feriti, senza dimenticare che i militari hanno effettuato raid in oltre 1.100 case ed edifici palestinesi e arrestato 330 persone. Israele non nega, anzi proclama l’intenzione di dare una pesante lezione ad Hamas. Ma “Brother’s keeper” ormai appare per quella che è: una punizione che colpisce l’intera popolazione palestinese, ritenuta collettivamente colpevole del rapimento dei tre ragazzi, peraltro mai rivendicato da Hamas. Lo pensa anche Robert Serry, il coordinatore delle attività dell’Onu nei Territori occupati, che ieri si è detto “preoccupato” per gli sviluppi dell’operazione israeliana e ha chiesto al governo Netanyahu di portare avanti le ricerche dei tre scomparsi nel rispetto delle leggi internazionali.

 

Il rischio di una escalation è molto concreto. Hamas evoca una terza Intifada in risposta all’operazione militare in corso. «Non staremo con le mani in mano visto che Israele continua con i suoi crimini in Cisgiordania», ha detto un portavoce del movimento islamico, Salah Bardawil, aggiungendo che nessuno «potrà bloccare la riconciliazione tra i palestinesi». Invece è proprio l’unità nazionale che vacilla. Se Hamas si dice pronto a innescare una nuova Intifada, invece esponenti di Fatah, il movimento guidato dal presidente dell’Anp Abu Mazen, mettono in chiaro che non ci sarà una terza rivolta palestinese contro l’occupazione. «Quanto sta facendo Israele per noi è inaccettabile ma Abu Mazen non permetterà una nuova Intifada», ha messo in chiaro il ministro degli esteri del governo unitario palestinese Riad al Malki. Certo non saranno le parole del ministo al Malki a fermare una possibile insurrezione nei Territori occupati ma le sue parole sono il segnale più evidente della volontà dell’Anp di tenere sotto controllo la situazione e di continuare il coordinamento di sicurezza con Israele, in netto contrasto con quanto chiede Hamas.

 

Il clima si sta arroventando ovunque, anche perchè le “ricerche-raid” dell’esercito israeliano toccano tutta la Cisgiordania, senza eccezioni. L’altra notte decine di jeep e blindati hanno circondato il campo profughi di Dheisheh (Betlemme), visitato meno di un mese fa da papa Francesco in viaggio in Terra Santa. Quando i soldati sono entrati, hanno trovato ad accoglierli le sassate dei giovani palestinesi decisi a ricacciarli indietro. Gli scontri sono andati avanti per tre ore. Almeno cinque palestinesi sono rimasti feriti uno dei quali, un ragazzino, ha perduto un occhio colpito da un proiettile di gomma sparato da distanza ravvicinata. Arrestate 35 persone, quasi tutte rilasciate poco dopo, tra le quali Isa Abdel Rabbo, un ex detenuto liberato nei mesi scorsi e per lungo tempo conosciuto come il prigioniero politico più anziano nelle carceri israeliane. Testimone del raid a Dheisheh è stata   una cooperante italiana. La donna, che ha chiesto di rimanere anonima, ha riferito che i soldati hanno fatto saltare la porta d’ingresso del centro sociale “Ibdaa” dove era ospitata. I militari quindi hanno confiscato computer e file cartacei. «Era chiara l’intenzione di devastare “Ibdaa” – ha raccontato la testimone – ma la mia presenza devi averli spinti a limitare le loro azioni. Io stessa mi sono attivata per impedire danni maggiori, seguendoli mentre entravano nelle varie stanze».

 

Si aggrava la tensione anche lungo le linee tra Gaza e Israele. Un pesante bombardamento aereo israeliano ha colpito ieri all’alba la Striscia dopo il lancio di razzi palestinesi. Almeno sei palestinesi, uno dei quali un bambino, sono rimasti feriti. Intanto provoca sdegno tra i palestinesi la designazione di Israele alla vicepresidenza della IV Commissione delle Nazioni Unite, quella delle Politiche speciali e Decolonizzazione. Il governo Netanyahu nell’ultimo anno ha lanciato una massiccia campagnia di colonizzazione israeliana dei Territori occupati approvando la costruzione di molte migliaia di case per “settler”.