Che la repentina fuga della Bridgestone da Bari non fosse dettata da una semplice scelta di carattere economico, lo avevamo denunciato sin dal primo istante. Sostenendo come l’azienda giapponese nascondesse un lato oscuro che poteva aver avuto un peso decisivo nell’annuncio dello scorso 4 marzo. Proprio ieri infatti, il gip di Bari Giulia Romanazzi ha respinto la richiesta di archiviazione delle indagini presentata dalla Procura di Bari, in merito all’inchiesta partita nel 2007 su malattie e decessi per tumori, asbestosi e altre patologie professionali collegabili a contaminazioni da amianto e altre sostanze chimiche di ex lavoratori o loro familiari, presso lo stabilimento di Bari. Il pm Patrizia Rautiis aveva chiesto nell’aprile 2011 l’archiviazione del fascicolo in cui sono indagati per otto episodi di omicidio colposo e quattro di lesioni personali colpose e per violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, il direttore generale della Bridgestone Italia Spa ex Firestone Brema di Modugno (Bari), Raoul Bernardo Bluhn, e Antonio Mazzei, responsabile della sicurezza sul lavoro.

Per il gip bisogna continuare ad indagare su eventuali responsabilità aziendali della Bridgestone verso dipendenti deceduti per gravi malattie. Nella sua ordinanza il gip scrive che è necessario attivarsi «attraverso consulenze e altri apporti pluridisciplinari, affinché si stabilisca con sufficiente certezza il nesso di condizionamento tra la malattia e l’esposizione lavorativa, applicando principi di natura giurisprudenziale» recentemente espressi con sentenze della Suprema Corte nel 2012 su materie analoghe. Occorre stabilire, scrive il giudice, «la sussistenza del nesso di causalità tra l’omessa adozione da parte del datore di lavoro, di idonee misure di protezione e i decessi e patologie dei lavoratori in conseguenza della protratta esposizione alle microfibre cancerogene». Per questo il gip ha disposto 180 giorni di indagini suppletive e l’acquisizione per i lavoratori affetti da patologia, di «tutta la documentazione sanitaria, per una compiuta analisi delle rispettive vicende cliniche, precisando con esattezza le epoche di aggravamento della patologia in atto».

L’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto e difensore di parte civile con la collega Emanuela Sborgia si è riservato la facoltà di chiamare la Bridgestone come responsabile civile per la condotta dei suoi dirigenti e sta valutando la possibilità di chiedere il sequestro conservativo della fabbrica, finalizzato a mantenere la garanzia dei crediti delle vittime, giustificata dalla decisione della multinazionale di sciare Bari. Alla luce del nuovo provvedimento, «la pendenza di indagini giudiziarie per la morte di diversi lavoratori – ha dichiarato Bonanni – impedisce all’azienda giapponese di divincolarsi dal sito produttivo». Il “caso Bridgestone” rischia di esplodere in tutto il suo fragore. Sono oltre 200 gli operai morti negli anni per asbestosi, melanoma e mesotelioma. Mille le cause di lavoro per il riconoscimento dei benefici pensionistici da legge 257/92 per chi ha lavorato con l’amianto. Gli operai sono stati a stretto contatto con materiali tossici di lavorazione, benzina e nerofumo, scarti di produzione: ancora oggi, non è terminata la fase di smaltimento di centinaia di migliaia di metri quadrati di amianto all’interno della Bridgestone.