Maram Abu Ismail ha davvero lanciato un coltello verso gli agenti della polizia israeliana al posto di blocco di Qalandiya prima di essere uccisa dalle raffiche sparate da guardie private? Di fronte a questo interrogativo, ancora senza risposta, Saleh Abu Ismail, padre di Maram, 23 anni, incinta e madre di due bimbe, e di Ibrahim, 16, l’altro figlio ucciso il 27 aprile a Qalandiya, ha preso l’iniziativa lanciando una sfida aperta alle autorità israeliane. «Devono diffondere subito il filmato dell’accaduto (girato dalle telecamere di sorveglianza)» ripete l’uomo che definisce una «messinscena» il ritrovamento di coltelli da parte della polizia. «I miei figli sono stati uccisi senza motivo», insiste Abu Ismail che dalla sua parte ora ha anche Haaretz. «Quanto è accaduto al posto di blocco di Qalandiya mercoledì scorso non può rimanere solo a Qalandiya – esortava ieri il quotidiano israeliano in un editoriale – L’uccisione di Maram Abu Ismail e di suo fratello Ibrahim…colpiti da guardie di sicurezza al posto di blocco solleva interrogativi e sospetti gravi». La polizia replica che quel filmato non può essere diffuso perchè sono corso delle indagini.

Il sospetto che sorella e fratello siano stati ammazzati in modo sommario, senza alcuna ragione, si è fatto ancora più forte quando le autorità israeliane hanno riferito che ad aprire il fuoco contro Maram non erano stati i poliziotti bensì dei contractor. Secondo la versione ufficiale, la donna si sarebbe diretta assieme al fratello verso il settore del posto di blocco di Qalandiya da dove transitano verso Gerusalemme gli autoveicoli (autorizzati). Il passaggio per le persone è dall’altro lato. Maram non avrebbe risposto all’intimazione di fermarsi giunta dalla polizia che ha sparato in aria alcuni colpi di avvertimento. Quindi ha estratto un coltello e, da una distanza non meglio precisata, l’avrebbe lanciato in direzione di un agente, senza colpirlo. A questo punto le guardie private hanno aperto il fuoco contro la donna e il fratello intenzionato, sempre secondo la versione ufficiale, ad attaccare a sua volta i poliziotti. Saleh Abu Ismail difende i figli. Maram, ha spiegato, si era ferita ad una mano due settimane prima. Sopraggiunta una forte infezione, non avendo ottenuto cure adeguate nel suo villaggio, Beit Surif, e a Ramallah, la donna aveva deciso di andare all’ospedale a Gerusalemme Est assieme al fratello. Maram, dice il padre, non conosceva il valico di Qalandiya e si sarebbe avviata per errore in direzione delle corsie destinate al passaggio delle auto. Testimoni hanno riferito che di fronte alle intimazioni a fermarsi, la donna, visibilmente confusa, avrebbe estratto e lanciato verso gli agenti non un coltello ma alcuni fogli appallottolati, pare i referti medici a conferma del suo bisogno di cure immediate. In reazione al quel gesto le guardie private hanno aperto il fuoco uccidendola sul colpo. Poi, sempre secondo le testimonianze, avrebbero fatto fuoco su Ibrahim che intendeva soccorrere la sorella.

«Mia figlia non ha lanciato alcun coltello» insiste Salah Abu Ismail che nega la militanza di Maram in qualsiasi organizzazione politica: «Era la madre di due bambine piccole e non aveva mai avuto mai problemi con Israele». Per la polizia invece la donna avanzava tenendo una mano dietro la schiena e all’improvviso ha scagliato il coltello. Dopo la sparatoria, sempre secondo la versione israeliana, un altro coltello sarebbe stato trovato sul corpo senza vita di Ibrahim. Salah denuncia «la messinscena» e chiede con forza che siano mostrate subito le immagini girate dalle telecamere di sorveglianza, richiesta sostenuta anche dal deputato israeliano comunista Dov Chenin e dalla Lista araba unita. L’accaduto ha fornito nuove ragioni a chi denuncia il “grilletto facile” di soldati, poliziotti e guardie private israeliane, in particolare da quando, lo scorso ottobre, è cominciata l’Intifada di Gerusalemme. Le forze israeliane, protestano i palestinesi, sparano subito e sempre per uccidere, compiendo delle «esecuzioni extragiudiziali». Qualche settimana fa a Hebron dove un militare israeliano ha sparato alla testa e ucciso un assalitore palestinese a terra e non in grado di nuocere. Il soldato è stato poi acclamato come un eroe da gran parte degli israeliani e rinviato a giudizio dai giudici militari soltanto per omicidio colposo.